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Siria: un’impresa
non impossibile

Siria: un’impresa<br>non impossibile

di Laura Mirachian

L’approdo dei militari russi a Latakia ricorda il repentino arrivo di un contingente russo all’aeroporto di Pristina nel 1999, allorché si rischiò uno scontro Nato-Russia, sventato solo grazie alla decisione del comandante in campo d’accordare a Mosca un quadrante dello spazio ove la Nato s’accingeva a dispiegarsi. Solo che, questa volta, non è la Russia di Cernomirdyn, ma la Russia inquietante di Putin che ha già una partita aperta con l’Occidente in Ucraina, che rafforza gli apparati militari in Crimea, che ammassa truppe a ridosso dei Baltici, che si manifesta nell’Artico, che secondo il Pentagono si accinge a rafforzare gli arsenali nucleari anche con una nuova tipologia di droni sottomarini, e che è più che determinata a mantenere la sua presenza nel Mediterraneo e per questo a puntellare la Siria degli Assad.

Non deve sorprenderci l’alleanza Mosca-Damasco : ha una lunga tradizione, risale ai tempi dell’Unione Sovietica, è stata coltivata con successo nei decenni, e rafforzata da ultimo. Ma evidentemente, in questo frangente, c’è di più. La Russia intende essere protagonista a pieno titolo della “nuova mappa” che si sta delineando in Medio Oriente. A Latakia come a Pristina il messaggio è: noi siamo qui, venite a patti. Un messaggio che fa seguito alle profferte esplicite dei giorni e settimane addietro, rimaste senza riscontro. E con le dichiarazioni che giungono dall’Iran, altro alleato degli Assad, che segnalano una disponibilità di collaborazione verso “chiunque” si adoperi per la soluzione del conflitto. Un’apertura, verosimilmente, al principale antagonista in area, l’Arabia Saudita.

Ma davvero noi Occidente pensiamo che si possa stabilizzare questa o altra Siria, e più oltre il quadrante mediorientale, senza la Russia? E immaginiamo di aprire un nuovo scacchiere di confronto con Mosca, innestandolo nella tragedia immane della guerra civile siriana? Valgano le raccomandazioni della Germania. La soluzione di questo, come di altri grandi conflitti, non verrà raggiunta finché protagonisti locali, regionali, internazionali - i tre circuiti che determinano i destini di ogni grande crisi - non avranno reperito i termini di un compromesso che rifletta a sufficienza gli interessi di ognuno.

In Occidente ci sono molte incertezze e tensioni disomogenee. La priorità è abbattere Assad oppure ci serve il suo esercito per contrastare gli estremisti islamici sul terreno ove non vogliamo scendere? Una stabilizzazione con la Russia o senza Russia? Puntare sull’Iran o limitarne le ambizioni? E che fare del futuro dei curdi, per anni combattenti sul terreno? Va riconosciuto alla Turchia il “rischio” di uno Stato curdo alle frontiere tollerandone le scorribande oltre confine o ne va perseguita l’uscita dall’ambiguità? E, quanto ad ambiguità, meglio soprassedere a quelle degli arabi del Golfo o convincerli a una maggiore trasparenza? E infine, meglio spezzettare la Siria (e l’Iraq) per linee etniche, o preservarne l’integrità territoriale organizzando una sorta di condominio? Non si è ancora arrivati alla quadratura del cerchio. Nel mentre, il Regno Unito avvia raid aerei sostenendo di farlo per auto-difesa, e la Francia, nel muovere, è tentata di combattere l’Is e al contempo Assad come a lungo proclamato: forse qualcuno ha in mente il proprio passato, e la futura divisione in zone di influenza. Nel frattempo, l’irruente espansione del sedicente Stato islamico nella regione, e ben oltre, ha gravemente deteriorato il quadro. Ma potrebbe essere proprio l’Is, tragicamente, ad offrire una nuova opportunità alla diplomazia. L’Is è un nemico comune. E comune è l’interesse ad abbatterne l’iniziativa, anzitutto. Minaccia l’Occidente, così come la Russia, e l’Iran, ed ha oltrepassato le porte dei Paesi arabi e della Turchia.

Esiste già uno schema di lavoro: quello compilato da Kofi Annan, a Ginevra nel giugno 2012. Lo schema non propone una soluzione, ma un metodo. Può essere ancora praticato, anche parallelamente ad iniziative militari di contrasto all’Is. Prefigura una fase di transizione, con un governo dotato di “full executive powers” che provveda ad avviare un dialogo, a redigere una nuova Costituzione e a predisporre elezioni generali multi-partitiche. All’insegna della continuità delle istituzioni statali e del perseguimento dei criminali (accountability). Il destino di Assad verrà segnato dagli stessi siriani. Questo dialogo servirà in primo luogo ad emarginare l’Is, sottraendogli adepti volontari e involontari, e a recuperare i ceti medi che nella disperazione stanno massicciamente lasciando il Paese e che dovrebbero invece essere il perno della futura Siria. Certo, siamo in grave ritardo. Si impone con assoluta urgenza un tavolo attorno al quale reperire i termini di una nuova Siria. Occorre recuperare gli arabi del Golfo, rassicurare la Turchia, sfruttare la disponibilità dell’Iran, e non ultimo dell’Egitto e del Maghreb, e raccogliere la sfida che ci sta lanciando la Russia.
(da affarinternazionali.it)

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