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Raqqa-Parigi-Raqqa
la guerra di Daesh

Raqqa-Parigi-Raqqa <br> la guerra di Daesh

di Massimiliano Trentin

(17 novembre 2015) Le informazioni sulla dinamica degli attentati che hanno colpito Parigi ricostruiscono un’operazione tanto complessa nel suo coordinamento quanto semplice nella sua logica criminale: colpire tre spazi che contraddistinguono la socialità pubblica di Parigi, colpire tutte le persone che le frequentano, indipendentemente da religione, lingua o provenienza, perché “colpevoli” di partecipare ad una socialità che gli attentatori ritengono simbolizzi il nemico. Per l’organizzazione dello Stato islamico (Daesh, acronimo arabo) ora la Francia rappresenta un nemico, come altri Paesi europei.

Sebbene vi siano state delle incongruenze iniziali tra la rivendicazione di Daesh e altri sui canali “ufficiali” di comunicazione, non stupisce che sia l’organizzazione ad esserne il mandante. Dall’estate del 2015, infatti, Daesh è sotto pressione: quelle forze regionali ed internazionali che per anni hanno lasciato che l'organizzazione combattesse prima in Iraq e poi in Siria in funzione anti-iraniana non ne controllano più le azioni e le ambizioni; alcune decidono di "contenerla", e ne subiscono gli attacchi.

Nell’estate del 2015 Daesh ha conquistato Ramadi, il capoluogo della provincia irachena di al Anbar, fulcro e luogo originario dell’organizzazione; si volge poi ad ovest e conquista la città siriana di Tadmur, Palmira, fino a lambire la grande arteria che lega da nord a sud Damasco e Aleppo. In tutti questi casi, riesce a giocare sulle divisioni delle forze che a parole combattono Daesh ma che nei fatti preferiscono combattersi tra di loro nel campo di battaglia siro-iracheno e perseguire obiettivi particolari.

Nel frattempo, nei territori controllati Daesh costruisce le istituzioni del nuovo “stato”: sistemi amministrativi che prendono elementi dell’impero Ottomano e degli stati postcoloniali siriano e iracheno, dunque con matrici francese e britannica; sistemi giudiziari che si richiamano ad un passato mitico ma che in pratica sono funzionali alla sottomissione brutale dei sudditi indisciplinati; sistemi di intelligence e di sicurezza che sono figli diretti dell’esperienza del Ba’th iracheno, da dove provengono i suoi quadri militari. Tuttavia, soprattutto in Siria e nel nord dell’Iraq, la popolazione non risponde bene alle nuove norme: si lamenta e pratica forme di resistenza passiva e resilienza, come la diserzione dalle manifestazioni pubbliche di Daesh, delle sue attività formative o la fuga. E’ dunque urgente che il nuovo “stato” trovi una popolazione adeguata, che lo possa consolidare e legittimare: da un lato, pratica l’eliminazione fisica o la deportazione di massa di tutte le persone e comunità che non accettano di uniformarsi alle nuove leggi di Daesh; dall'altro lato, importa persone dall’estero che credono di partecipare alla ricostituzione di un nuovo e mitico “califfato”. Nonostante il discorso sia diverso, le pratiche sono quelle della pulizia etnica e del genocidio novecentesco. Per realizzare e rendere sostenibile il progetto del cosiddetto "stato islamico" si pone il problema delle risorse e dei canali di comunicazione: da qui la concentrazione di Daesh per il controllo dei pozzi di petrolio, dei siti archeologici e i confini. I confini con la Turchia permettono di contrabbandare il petrolio e i reperti archeologici verso l’Europa, il Golfo e il resto del mondo, così come di fare affluire nuovi miliziani e nuovi “sudditi”, ed espellere gli indesiderati.

Oltre a quella interna tra regime e ribelli, la rivalità regionale tra Iran e Paesi arabi del Golfo e quella internazionale tra USA e Russia hanno contraddistinto finora la guerra in Siria, permettendo all’organizzazione dello Stato islamico di consolidarsi nel tempo e nello spazio. Tutti cercano di accaparrarsi il bottino della Siria a scapito degli altri, sulla pelle dei siriani ma senza averne le capacità politiche e militari. Dal 2014, Daesh inizia ad agire non solo in funzione anti-iraniana in Iraq e in Siria ma ambisce a costituirsi come "stato" indipendente e addirittura centro del nuovo califfato islamico. Gli sponsor arabi del Golfo e la Turchia si trovano di fronte al dilemma: continuare come prima oppure prenderne le distanze e "contenerlo" come iniziano a fare gli alleati della Nato? Agli attacchi della debole Coalizione internazionale a guida USA, Daesh ha risposto colpendo cittadini europei al Museo del Bardo a Tunisi in marzo e nelle spiagge di Sousse in giugno, sempre in Tunisia: qui, riesce a sfruttare le sue basi nel caos libico, e nei giovani tunisini andati a combattere in Siria.

Dalla fine dell’estate del 2015 la situazione inizia a cambiare. Le forze a guida curda conquistano la città di Tall Abyad nel nord siriano, limitando i collegamenti tra la capitale siriana di Daesh, Raqqa, e la Turchia: la risposta è l’attacco al partito filo-curdo HDP ad Ankara in ottobre. Ad ovest, da settembre la Russia interviene militarmente a sostegno dell’esercito siriano, dei suoi alleati libanesi e iraniani: gli attacchi riguardano prima i ribelli e altri jihadisti, poi Daesh; questo risponde abbattendo in ottobre un aereo civile russo sul Sinai, in Egitto, e colpisce il quartiere filo-Hizb’allah di Beirut il 12 novembre. Per non essere scavalcato dai negoziati tra Turchia, USA e Russia, il 27 settembre il Presidente Hollande annuncia i primi attacchi aerei contro Daesh in Siria, oltre che in Iraq: Daesh risponde con gli attacchi a Parigi. Intanto, tra il 13 e il 14 novembre, con l’assistenza degli USA, le forze curde riconquistano la città irachena di Sinjar e tagliano una delle grandi vie di comunicazioni tra le due capitali di Daesh, Mosul in Iraq e Raqqa in Siria.

Il quadro che ne deriva non depone a favore dell’organizzazione dello Stato islamico: i suoi confini si fanno sempre più difficili da attraversare per i suoi miliziani, per i suoi sudditi e per le sue merci; diminuendo le risorse disponibili, sempre più difficili si fanno in prospettiva le capacità di costruire uno “stato”; le divisioni dei suoi rivali iniziano a diminuire, dunque in prospettiva anche i suoi spazi di manovra. L'accordo sul nucleare iraniano e l'intervento diretto russo costringono gli USA a convergere sulla richiesta della Russia di trovare una soluzione politica, dunque di compromesso: i negoziati di Ginevra III e il G20 di Antalya sono passi di un processo di mediazione che dovrebbe "isolare" il conflitto in Siria per imporre una transizione politica, con la garanzia di USA, Russia e delle Nazioni Unite. L'Iran è d'accordo ma Turchia e Arabia Saudita sono recalcitranti. Il Presidente turco Erdogan spinge per la creazione di una zona di sicurezza nell’ultimo lembo del nord siriano a ridosso del confine turco ancora controllato da Daesh: i turchi entrerebbero con oltre diecimila uomini per “garantire” la popolazione siriana contro Daesh e contro il regime siriano. La Nato tentenna, ma l’idea di contenere sul posto il flusso di profughi piace a molti dirigenti nazionalisti della vecchia Europa.

Gli attacchi di Daesh a Parigi rispondono ad un quadro per loro negativo, almeno in prospettiva: e non potevano farlo se non replicando nella capitale francese quello che praticano sistematicamente da anni in Iraq e in Siria: qui nasce e speriamo possa finire la barbarie di cui siamo testimoni.

(da mentepolitica.it )

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