Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

Sei scrittori
raccontano storie
dalla città eterna

Libri
Ogni settimana uno scaffale diverso, ogni settimana sarà come entrare in una libreria virtuale per sfogliare un volume di cui si è sentito parlare o che incuriosisce. Lo "Speciale libri" illustra le novità delle principali case editrici nazionali e degli autori più amati, senza perdere di vista scrittori emergenti e realtà indipendenti. I generi spaziano dai saggi ai romanzi, dalle inchieste giornalistiche, alla storia e alle biografie.

SEI SCRITTORI RACCONTANO “STORIE DALLA CITTÀ ETERNA”

Giosuè Calaciura, Gianni Di Gregorio, Fabio Stassi, Antonio Manzini, Giordano Tedoldi e Chiara Valerio raccontano “Storie dalla città eterna”, edito da Sellerio (pp.240, euro 14). Città unica per mille ragioni, meta imprescindibile, Roma è allo stesso tempo scenario e personaggio di infinite narrazioni. Non è solo Colosseo, Trastevere e sette colli; è anche raccordo anulare e periferie, Montecitorio e sottoponti del Tevere. “Storie dalla città eterna” è la rappresentazione di una città in sei atti unici. C’è un drago al Corviale, il quartiere della periferia di Roma detto dagli abitanti “il Serpentone”, un vero lucertolone, grande un intero appartamento, che terrorizza tutti. Con questa fiaba di Antonio Manzini si apre l’arazzo con cui sei scrittori raffigurano Roma. Racconti che si possono leggere anche seguendo la traccia fiabesca. La Stazione Termini, secondo Fabio Stassi, diventa un luogo magico e reale, che incanta “l’eterno andare solitario per il mondo”. A Trastevere, racconta Chiara Valerio, scende un marziano che agisce in base al passato come noi facciamo in prospettiva del futuro, e vede oltre la luce visibile agli umani: si insinuerà misterioso nella vita di una ragazza. Giordano Tedoldi immagina un amore adolescente tra Monteverde Vecchio e il Vaticano, che esce dalle vecchie mura di un liceo clericale e si immerge nella libertà del colonnato del Bernini. Nel racconto di Gianni Di Gregorio, è lo squallore della periferia che diventa un balcone da cui osservare il globo: Roma caput mundi di tre “poracci” d’oggi che progettano una vita alla grande in un paradiso per pensionati miseri. Quella inventata da Giosuè Calaciura è un’avventura di barbari: una banda di ladri ragazzini si tira dietro un bambino “per bene” che sta diventando cieco, il quale per un giorno vede con i loro occhi una specie di città tardoimperiale, preda molle e meraviglia. In queste pagine, scompare una definita divisione tra i luoghi e le storie. La Città sembra uno spazio incantato di strade edifici ed oggetti, di posti che si trasfigurano in persone ed eventi che li trascinano.

 

“L’AZZARDO” DI ROBERTO SPINGARDI

Dopo “Nulla è per caso”, pubblicato un anno fa da Fausto Lupetti editore, esce “L'azzardo”, secondo thriller narrativo di Roberto Spingardi e parte di una trilogia che si concluderà con “Il ritorno”. Situazioni complesse e imprevedibili si dipanano in una trama in cui i personaggi e le loro azioni tengono costantemente sulla corda il lettore svelando solo nel finale, come è d’uopo nello stile di Spingardi, i reali obiettivi della vicenda. Il contesto è quello della Roma antica e di quella moderna, coinvolgendo sia il mondo delle opere d'arte che quello della medicina, con una parentesi rilevante anche sulla società dei servizi (più o meno) segreti. Gli avvenimenti, che si dipanano lungo una ricerca di opere d’arte dal valore inestimabile improvvisamente scomparse e che hanno come protagonista un ambizioso presidente di una Fondazione dedicata all’Arte, hanno luogo in ambientazioni diversificate e lontane, in una cornice spazio-temporale sui generis che comprende i luoghi di Raffaello e Caravaggio, lussuose cliniche dotate della tecnologia più evoluta e sofisticata, slums del Brasile e territori inesplorati d’Africa e d’Oriente, costruendo avventure mozzafiato rette da un continuo velo di mistero e assoluto rischio. Una cornice nella quale i giochi di potere sempre aperti e in cui la posta in gioco è ai massimi livelli. Del resto, come affermava Dostoevskij , l’azzardo, come il gioco, induce abitudine, assuefazione, piacere. . . e smettere è quasi impossibile! Il libro verrà presentato a Roma in due differenti incontri che vedranno intervenire, insieme all’autore e all’editore, la giornalista e scrittrice Pia Luisa Bianco, la docente universitaria e scrittrice Anna Maria Curcio e l’autore teatrale e televisivo Maurizio Gianotti. l doppio appuntamento è previsto l’1 dicembre presso la Libreria Feltrinelli in Galleria Alberto Sordi e il 7 dicembre alla Fiera della piccola e media editoria all’Eur, in cui sarà eccezionalmente presente anche il giornalista Giampiero Galeazzi. Entrambi gli incontri avranno luogo alle ore 18.


ASCANIO CELESTINI, “UN ANARCHICO IN CORSIA D’EMERGENZA”

“Tutti vivono nella storia, anche se ne abitano solo la periferia”: ascoltare o leggere Ascanio Celestini oggi sembra un po’ come guardare dall’alto un'autostrada a tre corsie piena di berline aerodinamiche e rimanere ipnotizzati da una piccola 500 del 1967 che procede per conto proprio. Protagonista della scena teatrale italiana, voce di coloro che non compaiono mai nelle storie ufficiali, Celestini è capace di ascoltare tante storie e distillarne una sola e collettiva. “Un anarchico in corsia d’emergenza”, con Maria Laura Gargiulo, è il suo ultimo libro pubblicato da Laterza (pp. 156, euro 15). Attore, scrittore, regista, Celestini è interessato all’oralità e reinterpreta con grande originalità la letteratura e la storia del nostro Paese, proponendo un teatro innovativo frutto di ricerche antropologiche sul campo. Tra i suoi spettacoli teatrali: Fabbrica (2002); Scemo di guerra (2004); Pro Patria. Senza prigioni, senza processi (2011); Discorsi alla nazione (2013) con il quale è attualmente in tournée. Ha scritto, diretto e interpretato il film La pecora nera (2010) e ha pubblicato i libri Storie di uno scemo di guerra (2005), La pecora nera (2006), Lotta di classe (2009) e Io cammino in fila indiana (2011). Il suo album Parole Sante (RadioFandango 2007) ha vinto il prestigioso Premio Ciampi come miglior debutto discografico e il suo secondo film, Viva la sposa!, è stato presentato alle Giornate degli Autori del Festival di Venezia 2015.

 

 

TRICOMI E VERDELLI, “A NOI CI PIACEVA IL BLUES”

Arriva in libreria “A noi ci piaceva il Blues . . . ovvero tutte le strade portano a Memphis” (Reality Book, 250 pagine, 13 euro) di Antonio Tricomi e Giorgio Verdelli: una sorta di educazione sentimentale e musicale di una generazione che al piombo degli anni ‘70 preferì il vinile e ancora non ha smesso, tra la Napoli vissuta, l’America sognata e il blues come stato d’animo collettivo. Edito da Reality Book per la collana Bagaria, “A noi ci piaceva il Blues” vanta la prefazione di Maurizio De Giovanni. Attorno al filo narrativo imbastito dai due autori, tanti i contributi preziosi di personaggi come Enzo Avitabile, Luigi Caramiello, Gianfranco Coci, Enzo Decaro, Tony Esposito, Peppe Lanzetta, Dino Luglio, Mario Martone, Francesco Patierno, Sandro Ruotolo, Daniele Sanzone, Patrizio Trampetti, Graziano Uliani, Claudio Velardi, e le immagini di Tita Pitteri e Lino Vairetti che hanno messo a disposizione i propri archivi fotografici. “A noi ci piaceva il Blues” si legge come un racconto, o come le note di copertina della nostra compilation ideale. Ma è soprattutto una guida alle emozioni che la musica ci ha regalato in questo straordinario angolo di storia racchiuso tra due millenni. La storia del libro inizia tre anni fa, ma “sarebbe ipocrita negare – è il pensiero degli autori - che l’urgenza interiore di portare a termine il lavoro si è materializzata in quella maledetta notte tra 4 e 5 gennaio 2015. La notte che si è portata via Pino Daniele”. A partire da quella formidabile emozione collettiva, Tricomi e Verdelli, come in un flash-back, ripercorrono quello che un tempo sarebbe stato un romanzo di formazione. Un viaggio musicale da Napoli a Los Angeles, passando per Memphis. Perché è a Memphis che  portano tutte le strade. Le strade del blues . . .

 

“DIO E IL SUO DESTINO” DI VITO MANCUSO

L’idea di Dio sembra essere scomparsa dall’orizzonte di noi occidentali, sempre più ossessionati da miti effimeri e ormai disposti a vendere al miglior offerente persino la nostra libertà. La sua assenza ci ha lasciati orfani di una guida in grado di orientare l'esistenza verso il bene e la giustizia, e per questo diventa necessario riflettere oggi sulla questione del divino. Ma quale Dio? Come possiamo ancora immaginarlo? E quale destino gli è riservato? Nelle pagine ambiziose di “Dio e il suo destino” (Garzanti, pp. 464, euro 20), il teologo Vito Mancuso conduce il lettore in un viaggio tra le problematiche raffigurazioni della divinità che nei secoli hanno accompagnato la nostra storia. E con coraggio ci sfida a liberarci dall’immagine tradizionale del Padre onnipotente assiso nell’alto dei cieli che ci viene ancora offerta da una Chiesa cattolica che sembra aver modificato il suo linguaggio ma non la sua rigida dottrina. Si riscopre così il valore di una divinità completamente partecipe nel processo umano, capace di comprendere i principi dell'impersonale e del femminile. Come ha scritto Agostino: “Sebbene non possa esistere alcunché senza Dio, nulla coincide con lui”. Soltanto in questa consapevolezza risiede la possibilità di salvare dall’estinzione la spiritualità e la fede, e di far risorgere quella speranza e quella fiducia nella vita senza le quali non può esserci futuro per nessuna civiltà.

(© 9Colonne - citare la fonte)