Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

Bauman, la cultura
“per tutti i gusti”

Libri
Ogni settimana uno scaffale diverso, ogni settimana sarà come entrare in una libreria virtuale per sfogliare un volume di cui si è sentito parlare o che incuriosisce. Lo "Speciale libri" illustra le novità delle principali case editrici nazionali e degli autori più amati, senza perdere di vista scrittori emergenti e realtà indipendenti. I generi spaziano dai saggi ai romanzi, dalle inchieste giornalistiche, alla storia e alle biografie.

BAUMAN, LA CULTURA “PER TUTTI I GUSTI”

Bisogna disfarsi di ogni rigido standard e di ogni pignoleria, accettare tutti i gusti con imparzialità, la “flessibilità” delle preferenze, nonché il carattere temporaneo e non consequenziale della scelta. Non si tratta tanto dello scontro tra un certo gusto (raffinato) e un altro (volgare), quanto tra l’essere onnivori e l’essere univori, tra la disponibilità a consumare tutto e la selettività schizzinosa. La cultura oggi è assimilabile a un reparto di un grande magazzino di cui fanno esperienza persone trasformate in consumatori. È fatta di offerte, non di divieti; di proposte, non di norme. È impegnata ad apparecchiare tentazioni e ad allestire attrazioni, ad allettare e sedurre, non a dare regolazioni normative. In “Per tutti i gusti. La cultura nell’età dei consumi” (Laterza). Zygmunt Bauman riflette sulle trasformazioni della cultura nell'età liquida, una cultura preoccupata di creare sempre nuovi bisogni, di seguire mode che durano il tempo di un attimo e lasciano subito spazio ad altro. “Il segno distintivo che connota l’appartenenza a una élite culturale sono oggi un massimo di tolleranza e un minimo di schizzinosità – riflette Bauman -. Lo snobismo culturale consiste nella negazione ostentata dello snobismo. Il principio dell’elitismo culturale sta nella sua capacità di essere onnivoro, cioè di sentirsi di casa in qualunque ambiente culturale senza considerarne nessuno come casa propria, e ancor meno l’unica casa propria”.  

 

 

“MASTICA E SPUTA” DI PINO ROVEREDO

Il mondo di Pino Roveredo torna in “Mastica e sputa” (Bompiani), una raccolta di racconti lucidi, spietati, disarmanti come di consueto, che si tratti di schegge o di esistenze narrate intere, di redenzioni in extremis o di condanne a vita. Un bacio e un morso: la vita è così, e siamo tutti sempre impegnati a masticare e sputare, come dice la canzone di De André che diventa leitmotiv di un amore spaccato in due da un delitto non commesso. Ma in questo universo che ha la nettezza scavata del bianco e nero entrano anche la luce del mare, la leggerezza di una parola umile, “fagioli”, che si meriterebbe una doppia per guadagnare ancora più sapore, la voglia di guardare certe città belle per definizione –Trieste, Parigi – con gli occhi della meraviglia. Pino Roveredo è nato nel 1954 a Trieste da una famiglia di artigiani: il padre era calzolaio. Dopo varie esperienze (e salite) di vita, ha lavorato per anni in fabbrica. Operatore di strada, scrittore e giornalista, fa parte di varie organizzazioni umanitarie che operano in favore delle categorie disagiate. Tra le sue opere, Schizzi di vino in brodo (2000), Ballando con Cecilia (2000, Bompiani 2014), da cui lui stesso ha tratto una stesura teatrale rappresentata al Festival di Todi. Bompiani ha pubblicato Mandami a dire (2005, Premio Campiello, Premio Predazzo, Premio Anmil, Premio “Il campione”), Capriole in salita (2006), Caracreatura (2007), Attenti alle rose (2009), La melodia del corvo (2010), Mio padre votava Berlinguer (2012).

 

 

 “I MILLE MORTI DI PALERMO” DI ANTONIO CALABRO’

Palermo come Beirut. Bombe, mitra, pistole, un arsenale da guerra per lo scontro tra clan mafiosi che insanguina la città dal 1979 al 1986, con un bilancio terribile: mille morti, 500 vittime per strada, altre 500 rapite e scomparse, lupara bianca. Una “mattanza”, mentre il resto d'Italia vive l'allegra frenesia degli anni Ottanta. La “Milano da bere”. E la Palermo per morire. Ne ricostruisce le vicende Antonio Calabrò in “I mille morti di Palermo” (Mondadori). L'escalation comincia il 23 aprile 1981, quando viene ucciso Stefano Bontade, “il falco”, potente boss di Cosa Nostra. È un omicidio dirompente, che semina il panico nelle fila delle più antiche famiglie mafiose, ribaltando gerarchie, alleanze, legami d'affari. Centinaia di altri morti seguiranno. Quasi tutti per mano dei corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano e dei loro alleati, i Greco, i Brusca, i Marchese: i boss in ascesa, che tramano, tradiscono, ingannano, uccidono per dominare il campo degli interessi: droga, appalti pubblici, armi, soldi. Tanti soldi. Non è solo una guerra interna alla mafia. Nel mirino dei killer, anche uomini con la schiena dritta al servizio delle istituzioni, come Piersanti Mattarella e Pio La Torre (alfieri del “buon governo” e di una politica efficace e pulita, contrapposta alle collusioni di Vito Ciancimino e alle ambiguità di Salvo Lima), Boris Giuliano, Cesare Terranova, Gaetano Costa, Carlo Alberto dalla Chiesa, Rocco Chinnici, Ninni Cassarà, e altri poliziotti e carabinieri, magistrati, giornalisti, medici, imprenditori che non si sono piegati alle intimidazioni. “Cadaveri eccellenti”. Persone che hanno difeso la legge dello Stato contro la violenza dei boss. Dietro alcune di quelle morti l'ombra dei grandi misteri italiani. E Palermo? In troppi stanno a guardare, impauriti, indifferenti o spesso anche complici nella rete degli interessi mafiosi che inquinano politica, economia, società. Mafia vincente e ancora una volta impunita? No. Il 10 febbraio 1986, l'avvio del maxiprocesso a Cosa Nostra nell'aula bunker dell'Ucciardone segna il riscatto dello Stato. Ottenuto anche grazie alla tenacia del pool antimafia guidato da Antonino Caponnetto, con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino tra i protagonisti: magistrati competenti e coraggiosi che hanno saputo trovare prove e riscontri alle rivelazioni di “pentiti” come Tommaso Buscetta e Totuccio Contorno. Per i capi di Cosa Nostra arrivano condanne esemplari, confermate in Cassazione. La mafia è in ginocchio. E tenta la riscossa con le sconvolgenti vendette stragiste dei primi anni Novanta. In pagine intense di cronaca incalzante e documentata, con speranza e passione civile, Calabrò rende omaggio al sacrificio di chi non si è arreso e invita a non abbassare la guardia contro un'organizzazione apparentemente in parziale disarmo ma che, come affermava Leonardo Sciascia, è da temere proprio quando non spara. Antonio Calabrò, giornalista e scrittore, è stato caporedattore de “L'Ora” negli anni della “guerra di mafia”. Ha lavorato al Mondo e alla Repubblica, è stato direttore editoriale de Il Sole 24 Ore e direttore del settimanale Lettera Finanziaria e dell'agenzia Apcom. Attualmente è consigliere delegato della Fondazione Pirelli, vicepresidente di Assolombarda, responsabile Cultura di Confindustria e membro dei board di varie società e fondazioni. Insegna alla Bocconi e alla Cattolica di Milano. Tra i suoi ultimi libri “Orgoglio industriale” (Mondadori, 2009), “Cuore di cactus” (Sellerio, 2010), “Bandeirantes” (con Carlo Calabrò, Laterza, 2011), “Il riscatto” (con Nani Beccalli Falco, Università Bocconi, 2012) e “La morale del tornio” (Università Bocconi, 2015). )

 

“ANDARE PER LE CITTA’ IDEALI” DI FABIO ISMAN

Non solo Palmanova, Aquileia, Pienza, Sabbioneta: l’Italia pullula di città ideali dalla struttura geometrica regolare, frutto di visioni laiche o di esoteriche cosmogonie. L’itinerario va dalla quadristellata Terra del Sole, voluta da Cosimo I de’ Medici nel 1546 in Romagna, ad Acaya, in provincia di Lecce; da San Leucio, frazione di Caserta, alle città-operaie Crespi d’Adda e Solvay a Rosignano; dalle città di fondazione fascista, come Latina e Sabaudia nel Lazio, Arborea e Fertilia in Sardegna, al recente “sogno” della Scarzuola in provincia di Terni. Ne traccia un quadro Fabio Isman nel saggio “Andare per le città ideali. Piccoli gioielli architettonici nati dall’utopia” (Il Mulino). L’autore, giornalista e scrittore, dopo essersi occupato di politica interna ed estera, da anni si dedica all’arte e alla cultura. Scrive, tra l’altro, per Il Messaggero, Il Giornale dell’Arte e Bell’Italia. Fra i suoi numerosi libri “I predatori dell’arte perduta. Il saccheggio dell’archeologia in Italia” (2009) e “Il ghetto di Venezia” (2010), pubblicati da Skira.


“IL DEMONE DELLA FRIVOLEZZA” DI GIUSEPPE SCARAFFIA

“Sono proprio gli oggetti la cruna dell’ago attraverso cui deve passare, se non preferisce chiudersi in uno sdegnato mutismo o in una futile retorica, il pensiero. Come nelle fiabe, nella notte dell’ideologia e delle religioni i giocattoli, e cioè gli oggetti, si destano e ci parlano. Solo chi è abbastanza umile da saperli ascoltare può distinguere nelle loro voci, apparentemente frivole, la litania della nostra epoca e il rumore di fondo del passato”. Anello, bastone, capelli. Cappotto, corna, New York, sedere, trasparenza, vestaglia, e molte altre voci: la dittatura delle cose frivole e superflue nell’opera e nella vita dei grandi dell’arte e del pensiero. “Il demone della frivolezza” (Sellerio), nuovo “dizionario” di Giuseppe Scaraffia (come i vari composti a partire dal “Dizionario del dandy”) si legge con la freschezza delle cronache mondane che spiano scrittori e scrittrici e i loro amici, scovando passi indimenticabili, frasi rese celebri dal momento in cui furono dette, aneddoti capricciosi. Sennonché è passando attraverso questi costumi d’autore che bene si illuminano le poetiche e i periodi letterari, guardandoli dagli usi quotidiani. Un’altra tavola, questo “Demone della frivolezza”, di quella specie di mappatura generale, che l’autore va componendo, delle coincidenze tra luoghi narrativi e momenti biografici che fa sembrare vera opera d’arte la vita. Giuseppe Scaraffia, nato a Torino, vive a Roma, dove insegna Letteratura francese nell’università La Sapienza. Collabora al Sole-24 Ore e ha pubblicato numerosi libri tra cui, con Sellerio, “La donna fatale” (1987), “Infanzia” (1987, 2013), “Il mantello di Casanova” (1989), “Torri d’avorio” (1994), “Miti minori” (1995), “Il bel tenebroso” (1999), “Gli ultimi dandies” (2002), “Dizionario del dandy” (2007) e “I piaceri dei grandi” (2012).

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