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Politica liquida
e Paese confuso

di Paolo Pombeni

(1 marzo 2016) Si è parlato anche troppo e a sproposito di “società liquida”. Forse è venuto il tempo di trattare della politica liquida, almeno per quanto riguarda l’Italia. L’andamento delle ultime settimane infatti ci rivela un panorama che non riesce a superare le frammentazioni infinite della stagione in cui si stanno dissolvendo le tradizionali formazioni dei partiti. E non riesce a farlo neppure in presenza di scadenze che un tempo spingevano al serrate le fila: scadenze elettorali (le amministrative), leggi di particolare impatto sociale (le unioni civili), crisi economiche che non sembrano avviarsi a soluzione.

Il panorama è a dir poco sconcertante. Partiamo dal maggior partito, il PD, che è preda al suo interno di una lotta di logoramento infinita fra gruppi dirigenti senza che si veda dove questa vorrebbe approdare. La minoranza sembra non riuscire a liberarsi dall’ossessione sulla presunta perdita dell’identità di sinistra del partito. Nessuno capisce veramente, neppure i promotori della battaglia, che cosa questo possa veramente significare alle soglie del XXI secolo e del resto nessuno lo spiega veramente: ci si limita a denunciare che si stanno facendo cose che per definizione non sarebbero di sinistra, come far passare le proprie proposte di legge con voti che provengono da altre forze. Inutile chiedere se pensano che sarebbe meglio non farle passare piuttosto che subire quell’onta, perché è un linguaggio che ai critici appare incomprensibile.

Quel che curiosamente si vuole è la conta interna (il “congresso anticipato”, trasformato in un rito purificatore), mentre interessa poco se questo rischia di portare ad una sconfitta del partito. Meglio soli, perdenti e puri che vincenti ma contaminati? Naturalmente non è così, perché la minoranza dem è formata da professionisti della politica non meno della maggioranza: semplicemente si tratta di un’arma per nobilitare una lotta di potere al termine della quale, se vincessero si tornerebbe a cercare voti dovunque fossero disponibili, senza troppe remore (perché altrimenti non si governa).

Non è che nei dirimpettai del “bipartitismo imperfetto” della seconda repubblica, cioè fra i berlusconiani, le cose stiano molto diversamente. Anche qui la confusione è somma e le lotte di potere sono estremamente diffuse. In questo caso il problema è contenere l’offerta di acquisto ostile di Salvini, che brucia tutte le strategie (modestissime) del berlusconismo al tramonto. La Lega nella nuova versione straripa e può essere contenuta solo là dove come a Milano un tessuto di poteri (abbastanza) forti è ancora in grado di convergere su un uomo suo (Parisi) che si accetta di far passare come candidato del centro destra. Ma del resto con Sala il centrosinistra ha fatto più o meno lo stesso, solo con più garbo, facendolo incoronare dalle primarie. Fuori da quel che resta del bipartitismo imperfetto stile seconda repubblica ci sono solo i grillini, come componente forte, più una marmellata di piccoli raggruppamenti parlamentari (perché al momento nessuno di questi ha ancora affrontato un serio test elettorale).

Il M5S si è bruciato nelle recenti vicende dimostrandosi incapace di fare più che della tattica spregiudicata: in parlamento si è fatto condizionare dalla voglia di far del male a Renzi non sostenendolo nello scontro sul ddl Cirinnà (cosa che invece avrebbe messo in realtà in pericolo la tenuta della coalizione governativa); nel paese ha perso l’occasione di andare realmente all’assalto delle principali piazze nelle amministrative, rinunciando a presentare candidati adeguati (forse con la parziale eccezione di Torino). Con questo mostra il fiato corto di una politica di pura denuncia delle magagne altrui, con cui non si riesce a dar prova di poter essere una valida alternativa. Non si dimentichi che il vecchio PCI per accreditarsi aveva puntato per decenni ad un “buon governo municipale” finendo alla fine per vincere la scommessa, malgrado col tempo quel buon governo si fosse notevolmente annacquato.

I piccoli partiti della variegata galassia parlamentare possono fare poco più che i parassiti di uno dei due partiti chiave, a meno che non si chiudano nelle utopie delle ali estreme che pensano sia possibile fare da soli. Anche questo è un elemento che complica il panorama attuale, perché alla scarsa consistenza politica di queste formazioni corrisponde un potere non piccolo di apporto marginale, ma essenziale alle coalizioni in termini di voti parlamentari (particolarmente importanti per la coalizione governativa i cui margini al senato sono molto incerti).

I problemi che si presentano in queste condizioni sono due. Il primo è immediato ed è la difficoltà di poter impostare una politica incisiva essendo sottoposti a questi ondeggiamenti dei piccoli partiti alla ricerca disperata di “rilevanza” ad ogni costo. Il secondo meno immediato, ma non troppo lontano è relativo a cosa succederà con l’entrata in vigore dell’Italicum quando potrebbe non essere più necessario tenere insieme alleanze elettorali ad ogni costo (soprattutto con partiti che hanno tanta classe dirigente da sistemare, ma pochi voti da portare) e quando poi a livello parlamentare il premio al vincitore lo libererà da molti condizionamenti (per non dire da molti ricatti) e quando il senato come seconda camera di manovra non esisterà più.

(da mentepolitica.it )

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