di Paolo Pagliaro
(30 maggio 2016) Dopo una vita trascorsa a fare la spola tra impresa pubblica e impresa privata, sempre in posizioni di leadership, e dopo una lunga parentesi di impegno parlamentare nello schieramento progressista, Franco Debenedetti tira le somme e ci avverte in 300 vivaci pagine consegnate all’editore Marsilio, che non sarà lo Stato a impedire il declino della nostra economia. Tesi decisamente di nicchia in un’epoca in cui, non sapendo più a quale santo votarsi, da tutte le parti si accendono ceri allo stato imprenditore e/o investitore.
Debenedetti sogna invece un’Italia che non sia più il paese in cui lo stato gestisce direttamente attività economiche e in cui l’industria privata chiede aiuti e difende rendite, ma torni a essere un paese che investe e inventa. Perché ciò accada, secondo l’autore occorre seppellire il concetto stesso di politica industriale, e con esso l’illusione tutta ideologica che l’attività diretta dello Stato in economia possa rimediare ai mali – disoccupazione, arretratezza, iniquità – e portare il bene, dunque crescita, protezione, innovazione.
Naturalmente Debenedetti porta numerosi esempi di interventismo mal riuscito, da Giolitti a Renzi, dalla Cassa del Mezzogiorno all’Ilva, dalle Partecipazioni statali alla banda larga. E guardandosi intorno cita la Cina, dove nel 2008 , dopo il fallimento di Lehman Brothers, il governo varò un piano da 470 miliardi di dollari, costruì nuove città, raddoppiò la capacità produttiva di pannelli solari, auto e acciaio. Oggi di quegli investimenti restano città fantasma, aeroporti vuoti, prodotti accatastati ad arrugginire e un debito salito dal 140 al 250% del Pil. Obama, è vero, salvò la Chrysler e prima di lui Roosevelt salvò l’America, ma in nessun caso un intervento d’emergenza si trasformò in un’ideologia e in una prassi.
Abituato - come recita il titolo del libro - a scegliere i vincitori e a salvare i perdenti, lo Stato secondo Debendeetti dovrebbe fare un passo indietro e tornare ai compiti che tanto tempo fa gli aveva assegnato Adam Smith: “garantire la pace, una tassazione non asfissiante e un’amministrazione tollerabile della giustizia, Perché tutto il resto discende dal corso naturale delle cose”.
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