di Paolo Pagliaro

(16 giugno 2016) Con un volo proveniente da Beirut questa mattina sono arrivati a Fiumicino 81 profughi, in maggioranza siriani e irakeni. Si aggiungono ai 200 - perlopiù donne sole, minori, disabili o malati - giunti in Italia dal febbraio scorso grazie al progetto dei “corridoi umanitari”, nato da un accordo tra governo, Comunità di Sant'Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche e Tavola Valdese. Il progetto prevede l’arrivo di un migliaio di persone in due anni, non solo dal Libano, ma anche dal Marocco, dove si raccolgono i profughi dei Paesi subsahariani, e dall’Etiopia, dove approdano eritrei, somali e sudanesi. Si tratta di un modello di accoglienza e integrazione che gli italiani hanno inaugurato e che altri Paesi europei stanno adottando. Ha annunciato un’iniziativa analoga la Conferenza Episcopale Polacca e si è espresso a favore dei corridoi umanitari anche Markus Kerber, presidente della Confindustria tedesca.

Totalmente autofinanziati (grazie all’otto per mille della Chiesa Valdese e ad altre raccolte di fondi) i corridoi umanitari non hanno l’ambizione di risolvere il problema delle migrazioni, ma quella di ridurre il numero dei naufragi e dei morti lungo le rotte del Mediterraneo.

Una volta giunti in Italia, i profughi – che dispongono di un visto rilasciato dalle autorità consolari - vengono accolti nelle parrocchie e nelle comunità delle associazioni che hanno organizzato il viaggio. Studiano la nostra lingua, vengono formati e – quando è possibile - lavorano, nonostante i meccanismi complicatissimi che continuano a rendere quasi impossibile l’impiego regolare di un profugo.

E’ la via italiana alla solidarietà, un unicum nel panorama delle relazioni tra Paesi, un unicum generoso come l’operazione Mare Nostrum del governo Letta e lungimirante come il programma di intervento nei paesi di origine dei migranti proposto dal governo Renzi ai partner europei.