di Paolo Pagliaro
(15 novembre 2016) Il referendum istituzionale del ’46 fu indetto il 12 marzo e si svolse il 2 giugno: bastarono ottanta giorni perché l’Italia decidesse di passare dalla monarchia alla repubblica e al tempo stesso indicasse i componenti dell’Assemblea Costituente.
Per una riforma costituzionale infinitamente meno importante la nostra vita politica è ferma da almeno 7 mesi, prigioniera di un dibattito ripetitivo e autoreferenziale, diventato ormai un non-dibattito.
Sul quotidiano l’Inkiesta la giornalista ed ex parlamentare Flavia Perina fotografa bene la situazione quando osserva che la campagna referendaria sta stremando la sinistra, in tutte le declinazioni, perché è evidente che il suo destino e i futuri assetti sono legati all’esito del voto e alle scelte che dopo farà Matteo Renzi. Ma sta letteralmente uccidendo la destra, che non sa più in quale campo giocare perché gli elementi minimi di chiarezza e stabilità del sistema sono venuti meno: da sette mesi non sappiamo se a dicembre ci saranno ancora due Camere oppure una sola, come si voterà per eleggere i deputati, come si eleggeranno i senatori di vecchio o nuovo conio, se sarà premiata la corsa di leadership singole o la loro capacità di apparentamento. Se ci sarà premio di maggioranza e a chi verrà dato. E’ difficile trovare uno schema di gioco – conclude la giornalista - quando non si sa quanto è grande il campo, in quanti si dovrà giocare e se la porta è tonda o quadrata.
Se i partiti sono così spaesati come racconta Perina, non è difficile prevedere che dopo tanti mesi trascorsi a discutere del si e del no, altrettanti ne perderemo per trovare una legge elettorale che convenga a tutti. Sperando che lo spread sia paziente.