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Perché sulla carta
Renzi parte sconfitto

Perché sulla carta <br> Renzi parte sconfitto

di Paolo Pagliaro

(18 novembre 2016) Quello del 4 dicembre sarà il terzo referendum – in questo caso costituzionale e non abrogativo - nel quale un leader mette in gioco il suo futuro politico. Fu così il 12 e 13 maggio 1974 per il democristiano Amintore Fanfani, che guidò il fronte del "sì" antidivorzista e fu così per il socialista Bettino Craxi, che il 9 e 10 giugno 1985 minacciò di dimettersi da presidente del Consiglio se il suo "fronte del no" a difesa del taglio dei punti di "scala mobile" fosse stato sconfitto. Fanfani perse, Craxi vinse.

In entrambi i casi l’esito del referendum rispecchiò la forza elettorale dei partiti e delle coalizioni che sostenevano le ragioni dei due leader. Nel 1974 il fronte antidivorzista partiva dal 47,3% dei voti conquistato da Dc e Msi alla Camera: e infatti perse. Nel 1985 la "coalizione del no" a guida craxiana poteva contare invece sul 58,6% dei voti raccolti alle politiche di due anni prima. E infatti vinse.

Ricordando questi precedenti, sulla rivista digitale “Mente politica” Luca Tentoni prova a tracciare una possibile geografia referendaria in vista dell’appuntamento del 4 dicembre. Assumendo come base le dichiarazioni ufficiali dei partiti e i dati dell’ultima elezione percepita come nazionale, e cioè le europee del 2014, il risultato parrebbe scontato, visto che lo schieramento favorevole al sì parte – sulla carta - dal 47,3% mentre il no può contare sul 52,7. Ma questa volta sembra più incerto il comportamento degli elettori "di frontiera": sia in Forza Italia che nel Pd ci sono infatti corpose minoranze decise a non rispettare le indicazioni dei leader. E c’è soprattutto quel 43% di italiani che due anni fa restò a casa, che custodisce dunque le chiavi della cassa e che nei prossimi 15 giorni sarà il principale destinatario della campagna referendaria.

(© 9Colonne - citare la fonte)