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direttore Paolo Pagliaro

L’ultima beffa si chiama
burocrazia difensiva

di Paolo Pagliaro

(16 maggio 2017) Si chiama “burocrazia difensiva” ed è quella patologia della pubblica amministrazione che si manifesta   quando l’unica salvezza percepita è quella di restare fermi, di prendersi il minimo delle responsabilità possibili, di aspettare che passi il vento dell’innovazione o di pretendere, prima di applicarle, che le novità diventino obbligatorie.  Burocrazia difensiva è quell’atteggiamento, comunissimo tra i dipendenti pubblici, per cui è solo non facendo che si evitano rischi. È burocrazia difensiva pretendere un doppio canale - digitale, ma anche cartaceo - per i documenti, perché “non si sa mai”. Attendere cento pareri prima di prendere una decisione e poi comunque rimandarla al proprio superiore o alla politica e non far nulla se non si ricevono esplicite direttive. Non usare le banche dati, ma chiedere ai cittadini informazioni che l’amministrazione ha già.


Questa grave malattia del nostro apparato pubblico viene messa a fuoco da un sondaggio che  il Forum Pubblica Amministrazione ha presentato oggi e che attraverso 1700 interviste a funzionari, dirigenti e amministratori prova a proporre diagnosi e terapie. Per il 62% del campione negli ultimi 5 anni la burocrazia difensiva è cresciuta. La causa principale è l’eccessiva produzione di norme che si sovrappongono e generano disorientamento e confusione, tanto che il 45% di chi lavora nel pubblico impiego dice di non comprendere il senso strategico del proprio lavoro. La bulimia normativa rende più complesse e lente le procedure di acquisto, le misure anticorruzione, la formalizzazione di incarichi e contratti.
Ma sulla strada dell’efficienza amministrativa c’è un altro ostacolo segnalato dalla maggioranza assoluta degli intervistati, ed è la mortificazione di dover rendere conto a dirigenti scelti non per meriti professionali ma per affiliazione politica.

 

 

 

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