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DA FALCONE E BORSELLINO
ALLE ALTRE 100 VITTIME

DA FALCONE E BORSELLINO <br> ALLE ALTRE 100 VITTIME

- La scritta “shhh”, a commento di un’immagine di donna con il dito davanti alla bocca. Il silenzio invocato su Facebook dalla figlia Maria Concetta Riina, a poche ore dalla scomparsa del Capo dei Capi avvenuta alle 3.37 del mattino nel Reparto detenuti dell’ospedale di Parma, sembra richiamare quel silenzio a cui per tutta la vita il più feroce dei boss di Cosa Nostra non è mai venuto meno. Una vita, iniziata a Corleone il 16 novembre 1930, in cui la morte entra subito e prepotentemente, quando Totò Riina ha solo 12 anni, con la perdita del padre e del fratellino, deceduti mentre cercavano di estrarre della polvere da sparo da una bomba inesplosa. A diciotto anni da poco compiuti il vero e proprio battesimo criminale (prima di allora aveva alle spalle solo qualche furto), con l’omicidio di un coetaneo durante una rissa per il quale viene condannato a 12 anni di carcere. A cambiargli per sempre la vita e ad avviarlo alla “carriera” dentro Cosa Nostra – costellata da oltre 100 omicidi in cui è coinvolto e da 26 condanne all’ergastolo - l’incontro con Luciano Leggio, conosciuto alle cronache come Luciano Liggio a causa dell’errore di trascrizione di un brigadiere. Uscito dall’Ucciardone nel 1956, Toto' U Curtu (così soprannominato per via del suo metro e 58 di altezza) entra nel gruppo di fuoco di “Lucianeddu”, di cui diventerà il numero due e della cui banda fa parte un altro corleonese, Bernardo Provenzano. All’Ucciardone Riina fa ritorno qualche anno dopo, nel 1963, fermato da una pattuglia dei carabinieri, per riuscirne nel 1969. Inizia una lunghissima latitanza di 24 anni, che si chiuderà con l’arresto da parte di carabinieri del Ros. Una lingua scia di sangue durata quasi un quarto di secolo, in cui U Curtu inizia la sua progressiva ascesa al vertice della Mafia che si consoliderà negli anni Ottanta, tra la sistematica eliminazione dei rivali all’interno di Cosa Nostra (come gli omicidi dei boss Stefano Bontate e Totuccio Inzerillo nel 1981, nell’ambito della seconda guerra di mafia che lascia a terra decine di cadaveri) e i delitti politici (come quello del presidente della Regione Piersanti Mattarella, avvenuto il 6 gennaio del 1980). Nel corso del maxiprocesso (1986-92) viene condannato all’ergastolo in contumacia, sull’onda delle rivelazioni del pentito Tommaso Buscetta. Terribile sarà la vendetta della “Belva” (come viene ribattezzato da Vito Ciancimino) nei confronti del “boss dei due mondi”, a cui farà uccidere 11 parenti. Terribile la stagione della guerra allo Stato e delle stragi, ideata e perseguita dal Capo dei Capi per colpire i politici che avevano “tradito” (Salvo Lima, ucciso il 12 marzo 1992) e i “responsabili” del maxiprocesso, i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nelle stragi di Capaci (23 maggio 1992) e Via D’Amelio (19 luglio 1992). La sua cattura, il 15 gennaio del 1993, su cui restano ancora punti oscuri, non diraderà però tutte le ombre sulle stragi e sui rapporti tra mafia e politica. Il silenzio di Riina continuerà fino alla fine, anche quando viene citato nel processo sulla trattativa. (Red)                 

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