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direttore Paolo Pagliaro

Perché sono difficili i rimpatri
degli stranieri irregolari

Piero Innocenti

In questi ultimi giorni si è tornati a parlare della esigenza di incentivare i rimpatri degli stranieri irregolari – cosa che presuppone accordi bilaterali (sollecitati dal Ministro dell’Interno con una nota inviata al Ministro degli Esteri) con i paesi di origine – ritenendo, con ciò, di dare ai cittadini un segnale politico di attenzione al “fastidioso” problema migratorio. Fenomeno che, seppur notevolmente ridotto rispetto al 2018 (sono circa seimila i migranti marini soccorsi e sbarcati nel 2019, al 20 giugno) è sempre una fonte di apprensione, alimentata ad hoc da taluni politici per incrementare il consenso dei cittadini. Non mancano, poi, perplessità sulle iniziative di “sostegno regionale” per i rimpatri volontari dei migranti annunciate dall’Assessore alla Sicurezza del Friuli Venezia Giulia dopo una riunione che si dovrebbe tenere a breve con un “gruppo tecnico del Ministero”, presumo dell’Interno.
Al rimpatrio volontario assistito (art.14 ter del Testo Unico sull’Immigrazione) che riguarda gli immigrati che desiderano tornare in patria ma non hanno la possibilità di farlo, in effetti, provvede il Governo e questo provvedimento si distingue da quello adottato d’autorità (forzato) attesa l’esigenza di assicurare effettività alla misura di allontanamento. Ci sono, inoltre, le “operazioni congiunte di rimpatrio” organizzate da Frontex, per ricondurre in patria, a bordo del medesimo vettore aereo, gli stranieri della stessa nazionalità espulsi da più Stati membri dell’UE (nel 2018 l’Agenzia ha coordinato il ritorno di 13.729 stranieri). Una funzione che viene assolta con molta attenzione e professionalità dal personale del Settore Rimpatri – una delle cinque articolazioni dell’unità Operations dell’Agenzia europea – sul piano operativo, fornendo un adeguato supporto tecnico ai Paesi coinvolti nelle operazioni congiunte e su quello informativo garantendo un rapido flusso in materia di rimpatrio tra i Paesi membri.
Uno specifico Fondo Europeo per i Rimpatri (istituito nell’ambito del programma “Solidarity and Management of Migration Flow” del 2007) garantisce il cofinanziamento delle varie attività che i Paesi intendono realizzare a tal fine e non si può dire che manchino adeguate risorse per tale obiettivo. Un tempo Frontex provvedeva a noleggiare direttamente i velivoli per tali operazioni ma le difficoltà emerse, di natura pratica e giuridica (gare di appalto per il reperimento di tali vettori di durata lunghissima, anche di nove mesi), hanno portato alla decisione di provvedere al solo rimborso del costo dell’aeromobile noleggiato dal Paese organizzatore del volo charter. Voli charter “dedicati” che il nostro Paese ha organizzato da circa diciannove anni, a cominciare dal 2000 quando i primi cinque voli riaccompagnarono complessivamente 433 stranieri nei loro paesi di origine per arrivare al picco di 2.297 stranieri nel 2002 (quest’anno, al 5 maggio scorso, sono già stati rimpatriati d’autorità 2.179 stranieri e 122 sono stati quelli “volontari assistiti”). Certo, i voli charter sono più costosi di quelli di linea e questo trova una spiegazione nel particolare che le compagnie aeree non sono molto collaborative (non gradiscono) la presenza di immigrati da rimpatriare a bordo dei loro velivoli. Si tratta, poi, di operazioni che vengono condotte con la presenza di adeguate scorte che vengono assicurate da personale della Polizia di stato che ha seguito appositi corsi di formazione. Servizi, insomma, particolarmente delicati per i quali occorre molta attenzione, sensibilità e rapida capacità di analisi e di intervento.

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