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direttore Paolo Pagliaro

Una crisi ipotetica
molto ipotetica

Paolo Pombeni

La telenovela infinita degli scontri/incontri fra Salvini e Di Maio va avanti con interesse calante da parte dei media, scarsissimo da parte dell’opinione pubblica generale. Tutti danno per scontato che non sia nulla più di una messa in scena che si pensa necessaria per tenere calde, per quel che si può, le rispettive “curve” in attesa delle scadenze ineludibili dell’autunno-inverno. Parzialmente si tratta della manovra legata alla legge di bilancio, che però ormai entrambi hanno capito dovrà muoversi sui sentieri stretti delle nostre compatibilità economiche, visto che a sostenerci in operazioni in deficit non c’è nessuno. In maniera assai più significativa viene la prova delle elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria, previste fra fine anno ed inizio dell’anno nuovo. Sono due scadenze molto impegnative sia per la Lega che per M5S. Salvini viene messo alla prova sia rispetto alla sua pretesa di avere in mano tutto il Nord conquistando anche la fortezza rossa dell’Emilia-Romagna (ormai tale peraltro solo nell’immaginario), sia rispetto alla trasformazione del suo partito in un partito nazionale che è capace di vincere anche al Sud (e quella è sempre una vittoria che conferma l’accreditamento come punto di riferimento ineludibile per il futuro). Di Maio a sua volta deve avere quantomeno un buon risultato: in Emilia-Romagna perché è pur sempre una regione che ha visto i successi dei Cinque Stelle (non si dimentichi che l’ascesa di Grillo inizia con un “Vaffa-Day” in piazza Maggiore a Bologna); in Calabria perché siamo in quel Mezzogiorno che è stato terra di elezione della scalata al potere della nuova leadership grillina. Inoltre si tratterà della prova sul campo della bontà o meno della riforma organizzativa del Movimento, che sperimenterà sia i coordinatori regionali sia la possibilità di alleanze con liste civiche. Sono appuntamenti importanti, ma non facili, anche perché probabilmente le elezioni si collocheranno in un periodo, fra dicembre e gennaio, in cui la gente non è che si faccia catturare molto dal dibattito politico. In più arriveranno dopo la legge di bilancio e bisognerà vedere come sarà andata quella partita, ma è probabile che, date le condizioni, abbia comunque deluso più d’uno. Ecco spiegata la necessità di tenere sempre alta la tensione, anche per tamponare qualche falla che si è prodotta nel frattempo: per Salvini il pasticcio russo, per Di Maio quello sulla TAV. Poi se ne potranno generare altri, perché la lotta politica è aspra e anche dall’estero si guarda all’Italia con preoccupazione e non si può escludere che, per quel che è concesso dalle relazioni internazionali, i nostri competitori qualche pedina la muovano anche loro. Del resto le questioni aperte non mancano: dal caos libico al possibile contraccolpo di una Brexit senza accordi (ma poi ci sono le vicende meno eclatanti, tipo l’evoluzione della vicenda politica spagnola). Tutto questo farebbe pensare che ormai non sia più il caso di parlare di elezioni anticipate: non convengono a nessuno dei due vicepremier e il premier sembra ben felice di navigare negli spazi che gli garantisce la turbolenza continua fra i suoi due azionisti. Ci sono però degli inciampi su cui non si può garantire una tenuta senza condizioni. Il primo e forse più complicato è l’approvazione definitiva al Senato del decreto sicurezza bis. Il margine di maggioranza dell’alleanza di governo è molto basso e se non arriva il soccorso di qualche altro partito di destra, FdI in primis, uno scivolone si fa presto a farlo. In questo caso, finestre elettorali o meno, Salvini non potrebbe restare al governo essendo stato battuto sul suo decreto-immagine. La situazione dovrebbe essere più garantita a fronte della mozione (o quel che sarà) dei Cinque Stelle contro la TAV. Qui la maggioranza dei favorevoli all’Alta Velocità è molto ampia, ma la Lega deve votare con le opposizioni, cosa che Di Maio continua a rimarcare polemicamente (con l’argomento bizzarro che si fa un favore a Macron, cosa non vera). I pentastellati danno per scontato che saranno battuti e sostanzialmente va loro bene perché ritengono così di aver salvato la faccia, ma quel che si deve vedere sono le vendette di ritorno dei grillini duri e puri su altri fronti: tanto per dire su quello delle autonomie differenziate che navigano ancora in un limbo evanescente e per cui si continua a chiedere un passaggio parlamentare. Tale è la possibilità di uno scioglimento costretto da un incidente di percorso, ma non desiderato da Lega e M5S, che si sta facendo strada l’idea di convenire su un governo-ponte che porti avanti la legge finanziaria e gestisca il ricorso alle urne fra febbraio e marzo 2020. Era una possibile evoluzione della crisi che anche noi avevamo ipotizzato su queste pagine. Come tutte le cose razionali non è detto che diventi reale (accade solo nella filosofia hegeliana), soprattutto perché sarà difficilissimo trovare l’accordo di quasi tutti, perché questo sarà sostanzialmente necessario, sul nome e sulla squadra per un tale governo di transizione. Sappiamo benissimo che trovare personaggi super partes è difficile, ma soprattutto è ancor più difficile convincere i partiti in competizione che si sono poi trovati. Su questo il presidente della Repubblica sarà una volta di più messo in croce. (da mentepolitica.it )

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