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Coronavirus, economia ed Europa: le sfide per superare la crisi

Coronavirus, economia ed Europa: le sfide per superare la crisi

In Lussemburgo operano circa cinquecento società italiane, insieme a diverse banche e una cinquantina di fondi di investimento che, da soli, rappresentano l’8% del totale dei fondi presenti nel Paese. Una presenza finanziaria, quella italiana, consistente. E anche i fondi che, dall’Italia, effettuano investimenti in Cina, lo fanno attraverso il Lussemburgo. Una realtà economica particolare che attira nel Granducato quelle nuove e giovani mobilità europee che hanno raggiunto il massimo livello di formazione in Italia e poi sono partite per l'Europa, dove vogliono sentirsi in Patria in ciascun Paese dell'UE e che sognano una Europa politica. In tempi di crisi economica da Coronavirus 9Colonne ha voluto ascoltare il parere di chi rappresenta questa generazione di “italiani-europei” e che conosce da dentro il mondo della finanza, intervistando Marco Onorato, del Dipartimento di Conformità e gestione dei rischi presso SMBC Nikko Bank (Lussemburgo) per parlare di economia ed Europa. “L’Europa ha risposto in maniera forte all’emergenza – ci dice Onorato – con la rimozione da parte della Commissione del Patto di stabilità, l’aumento del QE da parte della BCE di 750 miliardi, l’istituzione del fondo SURE per finanziare forme di sussidi statali, come la cassa integrazione in Italia, il kurzarbeit in Germania o lo chômage in Francia, al fine di evitare la disoccupazione di massa in questa fase di emergenza. Infine la BEI (Banca Europea degli Investimenti) ha lanciato un fondo di garanzia con cui finanziare interventi per aziende fino a 200 miliardi di euro. Ad oggi ci sono i fondi per affrontare la pandemia del coronavirus nel nostro Paese ed è soprattutto grazie al lavoro dell’Unione Europea”.

Ma non ci sono ancora gli Eurobond. Cosa ne pensa?
“La soluzione ‘eurobonds’ è piuttosto complicata dato che c’è un punto tecnico difficilmente superabile: qualsiasi istituzione che emette un titolo di debito deve possedere determinate garanzie. Quando l’Italia emette un BTP, domanda soldi ai mercati finanziari che prestano perché sanno che il nostro Paese possiede un patrimonio e un flusso di entrate tributarie stabile. L’Unione Europea a oggi non ha né un patrimonio, né un proprio flusso di entrate tributarie. Per emettere dunque eurobonds, gli stati membri dovrebbero devolvere parte delle loro entrate tributarie direttamente all’Europa. Punto questo, a oggi, di difficile superamento. Personalmente da federalista europeo convinto, spero si possa fare un ulteriore passo in avanti. Condivido il pensiero di Jean Monnet, uno dei padri fondatori dell’Europa: ‘l’Europa sarà plasmata nelle crisi e sarà il risultato delle soluzioni adottate per queste crisi’. Anche la ‘generazione Erasmus’, di cui faccio parte, è in crisi. Resta attonita e smarrita di fronte alla virulenza del Covid19 e alla consapevolezza che il concetto di cittadinanza europea non è ancora un patrimonio condiviso. A quasi trent’anni dal trattato di Maastricht, è evidente la distanza dei giovani europei sia dall’europeismo che dall’antieuropeismo. E più in generale dalla politica, cristallizzata sulle conquiste degli ultimi sessant’anni, mentre i miei coetanei guardano ai prossimi venti. La pandemia, distanziandoci fisicamente, ci sta avvicinando in solidarietà. Tra i giovani che fanno rete, si fa strada l'opportunità nuova di una reale integrazione europea da realizzare a Parigi o a Berlino, ma anche nel piccolo borgo italiano, perché la casa europea è l’unico vero sogno di questa generazione ed è una delle soluzioni per uscire dalla crisi”.

Lei è impegnato anche nelle attività della comunità italiana in Lussemburgo: cosa state facendo?
“La comunità italiana si è organizzata subito per attivare tutte le misure cautelative di prevenzione e sfidando lo scetticismo e l'incredulità delle altre comunità e, in accordo con le autorità lussemburghesi, ha da subito applicato il lockdown, dapprima in piccoli contesti e poi in via generale. Anche il circolo PD Lussemburgo, uno dei principali punti di rifermento per la comunità, svolge la delicata azione di mediazione e di coordinamento tra i bisogni della nostra comunità e il tentativo di capovolgere la narrazione dominante tecnico-economica a favore di valori nuovi incentrati sulle persone. Proficua è l'attività di crowfunding per contribuire alla costruzione di unità di terapia intensiva per gli ospedali del Veneto e della Lombardia. Molto attiva la rete di volontariato messa in atto per favorire persone impossibilitate a muoversi per le necessità quotidiane. Come comunità remano tutti nella stessa direzione, uniti nella consapevolezza che per sconfiggere la pandemia servono idee, solidarietà, coraggio e partecipazione di tutti”.

Lei si occupa di prestiti a grandi investitori privati internazionali e della grande finanza. La crisi sta colpendo anche il mondo dei grandi capitali?
“Questa crisi sta colpendo tutti in maniera indistinta. È chiaro che un grande investitore ha un portafoglio molto più diversificato ed è capace di assorbire le perdite rispetto a un piccolo risparmiatore. Oggi però il mercato è caratterizzato da perdite diffuse in quasi tutti i comparti dalle commodity all’azionariato. Ciò richiede ribilanciamento del portafoglio costante secondo strategie ribassiste. Ma la crisi di oggi è molto diversa rispetto a quella del 2008. Quest’ultima era essenzialmente una crisi della ‘domanda’ che fu rivitalizzata inondando l’economia di liquidità attraverso i QE delle banche Centrali. Il QE da meccanismo temporaneo di risoluzione della crisi, è diventato poi la regola con conseguenti tassi negativi per anni che hanno incentivato le aziende a indebitarsi pesantemente con titoli in borsa ampiamente sopravvalutati anche perché in caso di problemi le banche centrali avrebbero tagliato i tassi e inondato di soldi il mercato. La tempesta perfetta sta avvenendo in queste ore con la crisi economica generata dal coronavirus. Questa crisi è essenzialmente una crisi dell’offerta: se la piccola fabbrica del milanese, Sud Corea, Taiwan, Cina si ferma perché mancano le parti o perché gli operai sono in quarantena, questo comporta che anche le grandi aziende come Apple, Automotive etc. si fermano a causa della mancanza di componenti essenziali per assemblare il prodotto finito. Non dimentichiamo che i 2/3 del mercato globale sono composti di beni intermedi. È facile dedurre che aziende già ampiamente indebitate per tassi negativi di prolungate strategie di QE e produzione mondiale sostanzialmente ferma a causa di una delle più gravi pandemie della storia, portano al crollo delle borse mondiali le cui conseguenze si ripercuoteranno sull' economia reale in maniera violenta. Questa volta le armi delle banche centrali sono spuntate: se la crisi è sull’offerta, non serve a nulla inondare il mercato di soldi. Bisogna ripensare il paradigma del modello produttivo. Quello incentrato sul concetto di ‘catena globale del valore’, è fallito. Oggi la sfida consiste nel provare a cambiare il nostro modo di produrre e di comportarci. Non bisogna partire dal lato tecnico/economico ma, al contrario, dalla scala dei valori della nostra società. C’è bisogno, per dirla con Gramsci, di una nuova ‘egemonia culturale’ incentrata sui concetti di welfare, lavoro, investimenti, Europa, ambiente, per sovvertire e capovolgere la narrazione dominante”.

I grandi gruppi che negli ultimi anni hanno accumulato grande ricchezza in questa fase di crisi possono dare un contributo in termini di solidarietà interclassista a chi invece è più colpito, come le piccole e medie imprese, i lavoratori dipendenti e il lavoro autonomo, oppure questi mondi non si parlano?
“Non spetta ai grandi gruppi finanziari aiutare le piccole e medie imprese o il lavoro autonomo. Spetta allo stato e indirettamente all’Unione Europea porre in essere politiche redistributive più incisive ed efficienti. E in tal senso l’armonizzazione fiscale in Europa è un punto dal quale non si può più prescindere. Mi spiego. Le risposte dell’Europa a questa crisi non riguardano soltanto qualche economista o qualche addetto ai lavori, in gioco c’è molto di più. Da come l’Europa uscirà da questa crisi, dipenderà il futuro delle democrazie liberali. La sfida di un modello di società fondata su un capitalismo fine a sé stesso senza diritti, lanciata dalla Cina di Xijinping, dalla Russia di Putin, dalla Turchia di Erdogan, dal Brasile di Bolsonaro e dall’Ungheria di Orban, verso le nostre democrazie liberali sta imponendo regole e politiche antisociali legittimate dalle ‘leggi di mercato’, pur se incompatibili con limiti e vincoli costituzionali. Secondo questa visione l’economia e la massimizzazione del profitto devono essere completamente slegate dai principi liberali di Locke e Montesquieu da un lato e dai diritti democratici dall’altro. È in atto in queste ore una colossale campagna di disinformazione, di fake news nell’Unione Europea per destabilizzare i principi di uguaglianza, solidarietà e dignità conquistati in Europa attraverso la lotta di classe e considerati dalle democrazie illiberali i fardelli inutili di cui bisogna liberarsi, in nome di una crescita della ricchezza pur senza diritti. Questo punto è fondamentale, ma non è abbastanza sottolineato all’interno del dibattito politico attuale: il futuro delle nostre democrazie liberali sarà garantito se i governi europei, da controllori di bilanci e inflazione, sapranno trasformarsi in sistemi solidali e responsabili che riconsiderano l’economia una convenzione modificabile e rinegoziabile in nome dei diritti delle persone. Insomma, non è affatto ‘La fine della storia’ come sosteneva in un celebre libro il professor Francis Fukuyama”. (Ema - 7 apr)

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