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direttore Paolo Pagliaro

Procedure complesse
e il povero non chiede 

di Paolo Pagliaro

(10 dicembre 2020) I danni da lockdown non hanno riguardato il pubblico impiego. Non hanno riguardato le pensioni. Con il blocco dei licenziamenti e un ricorso senza precedenti alla Cassa Integrazione guadagni, non hanno riguardato se non marginalmente il lavoro dipendente e la manifattura. Chi sta invece pagando un prezzo molto alto è il lavoro autonomo e in particolare il settore dei servizi, dove il 6% degli occupati in questi mesi ha perso il lavoro. Qui la crisi ha colpito soprattutto i giovani, i meno istruiti, gli immigrati, i non garantiti, i cosiddetti lavoratori marginali. Sono loro le reclute del sempre più folto esercito dei poveri, che secondo le statistiche ufficiali ha superato la soglia dei 5 milioni di persone. 
Il reddito di cittadinanza, che ha sottratto a una condizione di grave povertà 250 mila famiglie e ne sostiene altre 700 mila, è la principale misura di pronto soccorso sociale. Per chi non aveva potuto usufruirne, dopo lo scoppio della pandemia il governo ha varato il reddito di emergenza. Sono dai 400 agli 800 euro mensili per famiglie in cui entrano meno di 15 mila euro lordi l’anno. Ne avrebbero diritto altre 700 mila famiglie, quelle appunto dei nuovi poveri, ma finora sono riuscite ad averlo solo 290 mila. Cristiano Gori, il sociologo ideatore dell’Alleanza contro la Povertà e uno dei padri del reddito d’emergenza, spiega oggi su lavoce.info che è mancata un’efficace campagna di comunicazione e che molte famiglie non hanno presentato domanda perché scoraggiate dalla complessità delle procedure e della modulistica.

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