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Lea Pericoli, quando la vita è tutta un lob

Ritratti
Una galleria giornalistica di ritratti femminili legati all'Unità d'Italia. Donne protagoniste nell'economia, nelle scienze, nella cultura, nello spettacolo, nelle istituzioni e nell'attualità. Ogni settimana due figure femminili rappresentative della storia politica e culturale italiana passata e presente.

Lea Pericoli, quando la vita è tutta un lob

“Nel tennis dominano due tipi molto diversi di paure: quella di perdere, ma ancor peggio quella di vincere, che paralizza il braccio del campione nel momento in cui riconosce il ‘quindici’ che può cambiare la storia della partita. I francesi lo chiamano ‘petit bras’ e da noi si chiamava: ‘braccino’. È una specie di paralisi del braccio che si trasforma in un arto incapace di colpire la palla come sa”. Cominciamo col dire che l’autrice di queste parole, Lea Pericoli, comparse su “Il Giornale” di qualche tempo fa, non la riguardano, perché il ‘braccino’, la nostra donna d’Italia, sembra non averlo mai avuto. Tanto meno la paura di vincere: ha strappato ventisei titoli italiani, in tre diverse specialità, e cioè dieci volte nel singolo, dieci nel doppio, e sei nel doppio misto (ebbene sì, esiste anche il doppio misto). Oltreconfine vinse la Coppa Duncan a Montecarlo nel 1957. Sull’erba più famosa del circuito, al torneo inglese di Wimbledon, è l'unica italiana presente nel museo dei campioni della capitale londinese: su quei campi raggiunse il quarto turno in tre diverse edizioni: nel 1965, 1967 e 1970. E poi Parigi, terra rossa, sempre quarto turno, ma per quattro volte:1955, 1960, 1964, 1971. La più celebre tennista italiana non ha avuto il ‘petit bras’ nemmeno fuori dai campi rettangolari, quando ai campioni è richiesta una prova ardua, forse ancor più dura di quelle per le quali si sono allenati fin lì, quella cioè di abbandonare le virtù del corpo e sperimentare quelle della mente. Tutti gli appassionati della racchetta la ricordano commentare partite con un tono pacato, da cronista si metteva sempre a lato del gioco e mai sopra, rimanendo precisa come ‘l’occhio di falco’ (la verifica in animazione grafica che stabilisce se una palla è dentro o fuori, di cui oggi si servono le cronache televisive), e tecnica senza essere pedante. Lea pericoli ha riservato al ruolo di commentatrice la stessa concentrazione di quando in gonnella usava i suoi famosi ‘lob’, cioè i pallonetti; traiettorie alte che superavano l’avversaria, andando a rimbalzare nell’ultimo palmo del campo. Lo faceva con la voce, lo faceva con la penna. Un po’ seguendo, più per condivisione di trascorso che per imitazione, il grande Gianni Clerici, anche lui ex giocatore – onor del vero meno vincente delle signora – ma abilissimo scriba del tennis: dalle loro rispettive voci non esce solo il rendiconto del match, ma il racconto del tennis, coi suoi aneddoti personali, le letture soggettive legate all’esperienza, nel mettere sotto osservazione l’uno o l’altra tennista (spesso fiutando ed additando, da un primo servizio, da un certo rovescio, il prossimo numero uno). Questo è uno sport di grandi amori, e lo testimonia anche: “C’era una volta il tennis. Dolce vita, vittorie e sconfitte di Nicola Pietrangeli”, il libro chela Pericoli ha dedicato al mostro sacro del tennis italiano.

(© 9Colonne - citare la fonte)