di Paolo Pagliaro
Nel 2021 celebreremo alcuni anniversari: i settecento anni dalla morte di Dante, i 100 dalla nascita di Sciascia e dalla fondazione del Pci, gli 80 dalla scomparsa di Joyce. Si parva licet, sarà anche il ventennale del piano varato da Giuliano Amato e Franco Bassanini per digitalizzare la pubblica amministrazione e di conseguenza l’Italia. Più o meno uno degli obiettivi che adesso l’Europa ci assegna in cambio dei 200 e passa miliardi del Recovery Fund.
Il piano d’azione per l’e-government lanciato tra il 2000 e il 2001 dal governo Amato si proponeva di raggiungere in 10-12 mesi tre obiettivi: migliorare l'efficienza interna delle amministrazioni; offrire ai cittadini e alle imprese servizi integrati; garantire a tutti l'accesso telematico alle pubbliche amministrazioni.
Buoni propositi rimasti in gran parte sulla carta, per diversi motivi: la frammentazione del sistema dopo la delega di molti poteri alle regioni, ciascuna con il suo fornitore di fiducia; l’assenza di competenze adeguate all’interno degli uffici pubblici, per il mancato ricambio generazionale; il digital divide; la ritrosia di molti cittadini a cedere i loro dati alle piattaforme digitali . E’ avvilente, ad esempio, la diffidenza che ancor oggi circonda uno strumento che nella pandemia sarebbe di grande aiuto come il fascicolo sanitario elettronico.
Non ha aiutato anche il fatto che dal 2000 a oggi in Italia si siano alternati 12 diversi governi e con essi i centri che avrebbero dovuto sovrintendere alla rivoluzione informatica. Abbiamo dovuto familiarizzare con il Cnipa e l’Aipa, la Rupa e la DigitPa, ora con l’Agid, acronimi di avventure naufragate quando la fedeltà è stata preferita alla competenza e la politica ha occupato spazi che sarebbero invece spettati alla buona amministrazione. Adesso c’è l’ultimatum europeo, chissà che – compatibilmente con la nuova crisi di governo - qualcosa non cambi. (18 gennaio 2021)
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