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L’Alto Commissario
alla ricostruzione 

di Massimo Nava  

(8 febbraio 2021) Si pronuncia Draghi, ma molti, dentro e fuori il Palazzo, leggono o pensano Maghi. Al premier incaricato si attribuiscono virtù e capacità taumaturgiche tali da fare immaginare la rapida guarigione del Paese, la normalizzazione della vita politica, il rilancio economico, il rinnovamento ecologico, il futuro radioso delle prossime generazioni, magari persino sgravate dall’enorme debito pubblico, accumulato in decenni e appesantito dalla distribuzione di aiuti per fare fronte alla pandemia. 
Per Mario Draghi parlano naturalmente la sua storia, la sua carriera, le sue competenze, il suo coraggio e i suoi successi, in Italia e in Europa, oltre a un bagaglio di rispettabilità e di carisma internazionale che si riverbera negli occhi stranieri, quindi benefico per il nostro Paese. Mentre in tanti, anche in questo contesto, hanno osservato l’Italia con preoccupata commiserazione, ecco ancora una volta lo scatto machiavellico, il colpo di reni, la stampella oltre l’ostacolo e via “metaforando”.
In una situazione eccezionale, il prossimo premier sarà anche una specie di Alto Commissario alla ricostruzione, un po’ come avviene dopo guerre e terremoti, affinché l’azione politica sia più efficace e più spedita, soprattutto quando ci sono da spendere bene notevoli risorse.
Mettere Draghi in discussione, prima ancora che si installi a Palazzo Chigi, è una bestemmia politica e un’offesa alla logica, date le circostanze che hanno spinto il presidente Mattarella a dargli l’incarico. E’ emblematico che le posizioni più scettiche o apertamente contrarie facciano capo a Di Battista nel Movimento Cinque Stelle e alla leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. Di Battista, al quale fa eco l’improbabile Toninelli, se la prende con le banche e con l’establishment, il vecchio ritornello dei grillini della prima ora ormai snaturati dagli abiti blu stile Boggi di Luigi Di Maio. Giorgia Meloni si preoccupa soltanto di capitalizzare al più presto nelle urne l’indubbia crescita di consensi che ha ottenuto parlando alla pancia degli italiani, anche se è da dimostrare che, di questi tempi, abbiano davvero voglia di votare con la mascherina e in coda per i vaccini.
Matteo Salvini vorrebbe tenere il più possibile unito il centro-destra, ma non può negare anche a sé stesso la grande speranza che Draghi rappresenta per la maggioranza degli italiani e non può permettersi, ostacolando il suo tentativo, di perdere l’ultimo treno per uscire dal vicolo cieco del populismo euroscettico. Se il centro-destra vorrà governare l’Italia questa correzione di rotta è imprescindibile.
Dunque, tutti, o quasi, nella stessa barca, sempre più simile a un’Arca in cui si rifugiano dal diluvio di fallimenti e impotenze i sopravvissuti della prima e della seconda repubblica e gli eroi senza gloria della terza, il picconatore Renzi, l’equilibrista Conte e i cocci del grillismo. Se Renzi alla fine ha fatto saltare il banco, rimanendo con il cerino in mano, l’incarico a Draghi spariglia le carte e nessuno può oggi immaginare che cosa succederà quando i rifugiati dell’Arca torneranno a rivedere le stelle. Avranno rigenerato i partiti? Sapranno fare i conti con la realtà? Si scompagineranno per ricomporsi in nuove famiglie? Si accoderanno in improbabili italiche “Grosse Koalition” affinché il tempo di Draghi finisca per assomigliare all’eternità della Merkel?
Sono queste domande a non farci credere a magie o miracoli, nonostante tutto il credito di Draghi. Qualcuno, in questi giorni, ha detto che il suo incarico, per quanto sia l’unica e più prestigiosa soluzione possibile, rappresenta la sconfitta della politica, impantanata nei veti incrociati di una crisi improvvida e incomprensibile. Molti dimenticano che la politica, intesa come normale gioco democratico fra forze alleate o alternative, è passata di sconfitta in sconfitta da un numero imprecisato di anni se, con il termine “sconfitta”, intendiamo la lunga sequenza di presidenti del consiglio non eletti, maggioranze rovesciate, continui cambi di casacca, riforme elettorali abortite, liste personali, partiti virtuali eterodiretti in rete, oltre al fatto che un governo affidato a un tecnico di prestigio - Mario Monti - lo abbiamo già avuto, peraltro con risultati discutibili.
La malattia è profonda ed è curabile soltanto se le grandi doti del secondo “Supermario” della politica saranno accompagnate da una straordinaria disponibilità delle forze politiche. Nel Parlamento e nelle diverse articolazioni del sistema, in primo luogo nelle Regioni, troppo spesso in conflitto con il governo. Mario Draghi ha dalla sua le virtù che lui stesso ha esaltato per fare bene nella politica come nella vita : coraggio, competenze, umiltà. Le prime due non abbondano nel nostro Parlamento, ma sarebbe ingiusto negare che ci siano. Il miracolo sarebbe una grossa iniezione della terza.
(da mentepolitica.it )

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