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direttore Paolo Pagliaro

Magari i ragazzi
andassero a votare… 

di Paolo Pagliaro

Su quale sia l’età giusta per eleggere il parlamento e per farne parte, Enrico Letta ha rilanciato una discussione che tiene impegnata la politica italiana da quando l’assemblea costituente stabilì rispettivamente in 18 e 25 anni l’età minima per l’elettorato attivo e quello passivo alla Camera, e in 25 e 40 anni la soglia per il Senato. 
 L’anacronismo di questi limiti, in particolare per quanto riguarda il Senato, sta nelle ragioni stesse per cui furono fissati. Il 13 settembre 1946 il costituente Gennaro Patricolo, eletto con il Fronte dell’Uomo Qualunque, spiegò ai suoi colleghi che il requisito dei 25 anni era troppo generoso “perché a quell’età un uomo esce appena dall'Università e non può considerarsi preparato ai problemi della vita nazionale; spesso non ha nemmeno messo fuori il piede dalla sua provincia e quindi non possiede quel largo orizzonte di vedute necessarie a un rappresentante del popolo”.
 L’antifascista Emilio Lussu, fondatore del Partito d’Azione , gli rispose ricordando che negli anni precedenti i vecchi avevano dato più c:attiva prova dei giovani ma non fu persuasivo. Ci fu chi, come il liberale Ottavio Mastrojanni, sostenne che non si poteva concedere il diritto di voto ai ventenni perché “a quell’età l’entusiasmo supera la riflessione”, tesi condivisa dal relatore Umberto Merlin, Dc, e dalla maggioranza. A nome del Pci intervenne Palmiro Togliatti. Se è vero che negli elettori giovani prevale l'entusiasmo, disse, è al­trettanto vero che una qualità contraria pre­vale in coloro che hanno superato, per esem­pio, i 60 anni. “Bisogna quindi lasciare che le due qualità, entusiasmo e riflessione, si com­pensino l'una con l'altra”. Lo sbarramento deciso dalla Costituente premiò la riflessione, ora forse il terzo paese più vecchio al mondo dovrebbe incoraggiare l’entusiasmo.

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