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Simone, il prof di italiano che ha scelto la Francia

Simone, il prof di italiano che ha scelto la Francia

Vivere lontano dal proprio Paese di origine può essere il coronamento di un percorso formativo, la conseguenza di una scelta ponderata o una prospettiva necessaria dinanzi alla quale le opzioni, frequentemente, sono poche. Non è così per Simone Bacci, professore, docente universitario e interprete, per il quale «la Francia è stata un richiamo: ho “una storia d’amore” con il francese e la Francia che va avanti da quando ero bambino». Simone non appartiene, infatti, alla categoria degli italiani all’estero che vivono con difficoltà la lontananza dall’Italia. «Moltissimi mi hanno detto “sei dovuto partire perché l’Italia non offre opportunità”, ma nella mia esperienza personale smentisco totalmente questo luogo comune. Al contrario, l’Italia mi ha dato una formazione di eccellenza: avevo una carriera delineata ma sono un linguista, amo le lingue, e il DNA degli interpreti è quello di viaggiare».

DAL MANAGEMENT ALL’INSEGNAMENTO, DA TRIESTE A STRASBURGO Dopo aver studiato alla scuola per interpreti di Trieste e dopo aver conseguito la laurea in Interpretazione di conferenza “volevo lavorare nelle istituzioni europee come interprete simultaneo dal russo e dal francese. Al quinto anno di università ho vissuto un momento di rottura e, parallelamente, mi sono iscritto a un master in Internazionalizzazione d’impresa dell’Istituto per il Commercio Estero, voluto fortemente dal MISE per far sì che linguisti specialisti entrassero nelle aziende e partecipassero al loro sviluppo da un punto di vista manageriale” racconta a 9colonne.  Finito il master frequenta uno stage in un’azienda nel distretto ceramico di Sassuolo, sua città di origine, ed è qui che matura la scelta di andare l’estero: “Avevo davanti a me una carriera in management nel settore commerciale, con clienti di Russia Francia e Inghilterra, ma dopo qualche mese mi sono reso conto che non era la mia vocazione. Durante gli studi avevo fatto uno stage in Russia come insegnante e dei corsi di alfabetizzazione per stranieri a Trieste e avevo capito che insegnare sarebbe stata la mia strada. Mi è sempre piaciuto il contatto con gli studenti: la trasmissione della conoscenza e l’aspetto umano mi avevano coinvolto e motivato”. Il 2012 si trasferisce per un anno a Mosca con Irene – sua collega di studi che negli anni successivi sarebbe diventata sua moglie – ma l’occasione importante arriva nel 2013, dalla Francia: “Mi viene proposto un contratto di due anni come lettore, ovvero specialista della lingua italiana alla triennale dell’Università degli studi di Strasburgo”. Contemporaneamente inizia a lavorare anche all’Istituto Italiano di Cultura di Strasburgo come insegnante e interprete. Dopo due anni il contratto all’università scade e, alla ricerca di una soluzione stabile, vince il concorso di cattedra come insegnante di italiano nelle scuole francesi. “Dal 2016 sono riconosciuto professore in Francia e inizio la mia peregrinazione: insegno al liceo e alla scuola media tra Nizza, la Mosella, Mulhouse. Nel 2019 passo a Strasburgo e dallo scorso anno sono docente a contratto all’Università degli studi di Strasburgo, dipartimento di Lingue straniere applicate”. Intanto è iscritto al dottorato di ricerca per poter diventare un giorno professore associato. L’insegnamento permette a Simone di declinare la sua “italianità” in un contesto – quello francese, in cui è nato suo figlio Tommaso – a cui lo lega anche la doppia cittadinanza acquisita assieme a quella italiana. “Tutti i giorni parlo di lingua italiana, di cultura italiana, di identità italiana a bambini, ragazzi, adulti, studiosi, ricercatori, specialisti, alti funzionari. L’Italia è tutti i giorni nella mia vita e non voglio rinunciare alla mia italianità ma ormai mi sento parte di questo Paese, mi sento integrato”.

 

IL RUOLO DELL’INSEGNANTE E LA LINGUA ITALIANA Nel corso degli anni di insegnamento, e soprattutto nell’ultimo anno in cui è particolarmente sentito il vuoto di spazi non condivisi, Simone ha ripensato al suo ruolo di docente e al rapporto con gli studenti: “Nelle mie prime esperienze di insegnamento avevo ventuno anni, mi piaceva tantissimo ma c’era un po’ di egocentrismo. Nel tempo, ma soprattutto studiando i principi di base della didattica odierna, ho compreso che il ruolo dell’insegnante si è evoluto, oggi - e ancora di più in questo difficile momento - dobbiamo tutti fare un passo indietro, dobbiamo scendere dal piedistallo: al centro del nostro lavoro c’è lo studente, che si tratti di scuola media o superiore o di università, il comune denominatore è che noi insegnanti siamo lì per accompagnarli alla scoperta del sapere, siamo lì per farli accedere a un sapere nuovo”. “Uno dei momenti più soddisfacenti – racconta il prof a 9colonne  - è vedere la loro meraviglia, nel senso aristotelico, quando si trovano di fronte a una lingua straniera bellissima come l’italiano che è difficilissima, piena di insidie, assurdità e contraddizioni”. E la meraviglia, ad esempio, è quella che compare sui loro volti quando ascoltano il condizionale del verbo “chiacchierare”: “Gli studenti sono rimasti in silenzio e mi hanno detto ‘lo dica ancora, è bellissimo!’. Vedere dei ragazzi di vent’anni che si emozionano per un ‘chiacchiererebbe’ mi conferma che non cambierò mai mestiere”. (BIG ITALY / Ede / 9 apr)

 

 

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