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L’industria dell’auto
sopravviverà all’oblio?

L’industria dell’auto <br> sopravviverà all’oblio?

di Salvatore Tropea

(24 maggio 2021) Che l’Italia sia un paese la cui economia poggia anche sul turismo e sulle attività connesse non è una novità e ciò spiega, al di là delle tante dissennate argomentazioni palesemente legate a convenienze elettorali, il gran parlare che da mesi si fa sulla riaperture di questo settore che ha sofferto la pesante ricaduta della pandemia. Se ciò è vero è altrettanto vero che a influenzare questo tipo di dibattito è la tendenza ad analizzare certi problemi puntando i riflettori sulla cronaca nella quale, com’è facile immaginare, la chiusura del bar, dell’albergo o del negozio, s’impone sui ritmi a singhiozzo o sui blocchi della catena di montaggio di una fabbrica. Con une effetto distorsivo del ragionamento che, naturalmente, non tocca minimamente la legittimità dell’allarme che proviene da questa o quella categoria.
Come sempre ci sono poi i numeri che s’incaricano di mettere ordine e di farci vedere come stanno le cose in aree dell’economia rimaste in ombra nonostante la loro importanza. Naturalmente con quelle che sono le differenze tra i vari paesi europei e la posizione tra questi dell’Italia con le sue bizzarrie.
  Prendiamo il settore dell’auto che, pur non essendo quello dei tempi migliori della Fiat, conserva un suo peso nel sistema industriale italiano. Non è in buona salute in nessuno dei grandi paesi dell’UE. In aprile il suo mercato ha chiuso in rosso con un calo del 22,7 per cento rispetto allo stesso mese del 2019, pari a 305 mila vetture in meno ma con una perdita più contenuta rispetto all’aprile del 2020. Nel primo quadrimestre del 2021 le auto in meno vendute sono state pari a 1 milione 371 mila. In questo scenario c’è un aspetto che merita qualche considerazione e riguarda la penetrazione nel mercato di auto elettriche. Secondo i dati forniti dall’Unrae, l’Associazione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri, le “vetture alla spina” rappresentano in Italia un 7,9 per cento contro una media del 16,1 negli altri Major market ovvero Germania, Francia, Regno Unito, Spagna (l’Italia ha un primato nelle vetture ibride grazie agli incentivi).
 Nell’ansia comprensibile di poter riprendere l’auto senza la paura della mannaia pronta a calare a ogni confine comunale, provinciale, regionale, si tende a dimenticare o a trascurare i problemi di questo settore che, in Italia, non sconta soltanto la ricaduta della pandemia ma deve vedersela con i ritardi accumulati sulla corsa ai motori elettrici. Tanta lentezza, il cui recupero dovrebbe adesso entrare tra gli obiettivo del Recovery Fund, si spiega non con l’arretratezza tecnologica nei confronti di altri paesi che pure ha il suo peso, ma anche con un altro tipo di arretratezza identificabile con la scelta dei governi (leggi della politica di ogni colore) di non toccare mai una delle sue fonti più antiche di finanziamento.
 Dai dati forniti da Assoutenti risulta che su ogni litro di benzina, in Italia, 1,016 euro se ne va in tasse a causa del peso di Iva e accise sui carburanti. A commento del picco della “verde” a 1,593 euro al litro, il presidente Furio Truzzi, ricorda infatti che “il costo dei carburanti al netto delle tasse risulta più basso in Italia di 3,5 centesimi”. A far impennare i listini alla pompa facendo sì che per ogni litro di verde gli italiani paghino 1 euro di tasse, sono le accise che pesano per un 63,8 per cento sulla benzina e per un 60,5 sul gasolio. Naturalmente, da tempo immemorabile, ad ogni avvicendamento di governo si sente parlare del contenimento di questa eccessiva tassazione. Ora tocca a Draghi mettere mano a questo iniquo e anacronistico balzello che comprende le accise, due delle quali fanno rispettivamente riferimento al finanziamento della sciagurata guerra in Etiopia del 1935 e al terremoto nella Valle del Belice di oltre mezzo secolo fa, esattamente del 1968. Lo farà? Non resta che aspettare.
Gli impegni sono tanti e le accise per la guerra contro il Negus Hailé Selassiè e il Belice sono eventi remoti. Che comunque contribuiscono a quel caro-benzina equivalente per le famiglie italiane a una stangata di 6,6 miliardi di euro solo per maggiori costi di rifornimento. Se le cose resteranno immutate, come è avvenuto sinora, allora vorrà dire che ancora una volta avrà avuto ragione Tancredi, il nipote di don Fabrizio principe di Salina del celebre Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. 

 

 

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