di Paolo Pagliaro
Per ragioni diverse, sia Enrico Mattei sia Pierpaolo Pasolini detestavano il presidente della Montedison Eugenio Cefis, ma non fu quest’ultimo a organizzare l’omicidio di entrambi. Nel Paese dove il complottismo fa più danni dei complotti, è una lettura balsamica il ritratto di Cefis scritto da Paolo Morando e pubblicato da Laterza.
Certo: fatti e personaggi risalgono a 40-50-60 anni fa, e i millenials non ne hanno memoria. Ma è in quel secondo Novecento che l’Italia ha cambiato pelle ed è lì che ci sono le radici di molti dei nostri odierni affanni pubblici. Un esempio sono le polemiche arroventate sulla guida del Copasir: fu in quegli anni, ben raccontati da Morando, che un uso spregiudicato e talvolta criminale dei servizi di intelligence incominciò a condizionare la politica e l’informazione. Un altro esempio è il dibattito - rilanciato dal Recovery Plan - sul ruolo che in economia deve avere lo Stato. Pochi meglio di Cefis - consigliere dell’Agip e presidente dell’Eni prima di conquistare Montedison - seppero piegare gli interessi dell’impresa a quelli della politica e viceversa.
Nel 1977, ad appena 55 anni d’età, senza spiegazioni, Cefis lasciò tutti gli incarichi e si inabissò, rifacendosi una vita tra il Canada e la Svizzera, confortato da una provvista personale di cento miliardi. Morì nel 2004, ma prima volle donare al museo di Pallanza la sua straordinaria collezione di 5 mila ex voto. Peccato che ora tutti gli ex voto della collezione Cefis siano sotto sequestro, perché risultati rubati o comunque di dubbia provenienza.