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Giorgio Perlasca,
l'eroe scomodo

Giorgio Perlasca, <br>l'eroe scomodo

Da un po’ si parla, perché cominciano ad emergere e manifestarsi sempre più visibilmente, dei nuovi populismi in Europa e della deriva di estrema destra, cosa che dovrebbe raggelare il sangue di ogni cittadino del vecchio continente, memore di quanto avvenuto nel secolo scorso, per mano dei passati populismi, e della deriva di estrema destra, che non è né vecchia né nuova: è sempre quella. La figura che permette una ricognizione del fenomeno è quella di Giorgio Perlasca, che – diciamolo subito – era fascista, ma ebbe in sorte di proteggere e salvare oltre cinquemila ebrei. Ciò avvenne nella Budapest occupata dai nazisti tedeschi del 1944, quando Perlasca, fingendosi un addetto dell’Ambasciata Spagnola, riuscì a liberare dalla deportazione tutte quelle vite. Il che dovrebbe fare di lui un eroe nazionale, senza ombre, con la nettezza di una statua, di vie intitolate, ed ogni sorta di celebrazione possibile. Invece Perlasca è tuttalpiù una delle rappresentazioni di Montalbano, cioè di Luca Zingaretti. L’Italia è così, trascura i propri modelli di virtù. Uno dei libri dedicati alla sua persona, “Un italiano scomodo” – un altro fu di Enrico Deaglio, “La banalità del bene”, 1991 –, uscito nel 2010 per “Chiarelettere” e scritto a quattro mani da Hallenstein e Zavattiero, recando per sopra titolo la domanda: “Perché l’Italia dimentica i suoi eroi?”, racconta la sconcertante cosa che prima del 30 aprile del 1990, il cosiddetto grande pubblico non sapeva nemmeno chi fosse Perlasca, prima di vedere la puntata di “Mixer” su Rai Due a lui dedicata. Considerando che sarebbe morto nell’agosto del 1992, e che solo poco prima aveva avuto la concessione del sussidio previsto dalla Legge Bacchelli, non è un risultato di cui andar fieri. Dal 1945 in poi Perlasca aveva avuto una vita di stenti, di lavoretti, di precarietà, di difficoltà economiche, rifugiato a Padova. Aveva salvato cinquemila persone, nessuno salvava lui. Il perché va cercato nelle pieghe della vita politica del nostro paese. Scontava certo l’adesione al fascismo, mai rinnegata, anche se a margine annotiamo che ripudiò le leggi razziali e l’asse coi nazisti, il Patto d’Acciaio. Quindi, viene da pensare seguendo il ragionamento de “Un italiano scomodo”, la sinistra non poteva apertamente tributare onorificenze ad un uomo di destra, e il ragionamento segue: nemmeno la destra potava mettere il cappello su un uomo che aveva tradito il dettato mussoliniano. Rimase così; eroe dei cinquemila, ma anonimo in patria. L’estero fu più gentile con lui: come per esempio Israele che nel 1989 lo ospitò in visita ufficiale e lo insignì del titolo di Giusto tra le Nazioni, il massimo tributo che lo Stato a maggioranza ebraica riconosce a chi ha rischiato la vita per salvare anche un solo ebreo dal genocidio nazista. Ma anche l’America, l’Ungheria, la Spagna, ebbero modo di ringraziarlo. Noi no, non l’abbiamo trovato, e quale che sia la ragione, è troppo tardi. Una fiction postuma non basta.

(Valerio Defilippis)

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