Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

CHECCO ZALONE, VISTO DA FELLINI

Si distrae vent’anni precisi Federico Fellini – oddio, se la morte è una distrazione: riposa nel cimitero di Rimini dal 31 ottobre del 1993 – e la parola cinema si pronuncia Checco Zalone. Cos’è successo? Un altro ventennio. Sarebbe andato oggi in una sala romana, l’autore di “8 ½”, a vedere questo “Sole a catinelle”, sottobraccio a Giulietta Masina; e dai suoi larghi occhialoni spessi, cosa avrebbe visto? Che domande imbarazzanti. Che interviste impossibili si devono evocare per capire il fenomeno-Zalone. (Eppure Fellini disse una frase sibillina: “Il ‘Drive in’ è l'unico programma per cui vale la pena di avere la tv”). Per quanto il Maestro adorasse le figure comico-grottesche, e mise Benigni e Villaggio sulla Luna, Ciccio Ingrassia su un albero, è difficile indovinare dove avrebbe collocato Luca Pasquale Medici, detto Checco. Rassegniamoci: non lo sapremo mai. Tiriamo innaz’, come direbbe il comico pugliese. L’altra sera durante il programma di Zoro, “Gazebo”, l’artiglio distruttivo di Johnny Palomba - quel critico in maschera che per avere sintomatico mistero è costretto a infilarsi una calzamaglia in testa - ha accarezzato proprio il film dei soldi a catinelle. E mentre col suo romano-televisivo normalmente sfascia le trame, ridicolizza l’acme, inchioda i fotogrammi alla propria spoglia nudità, ecco che con Zalone improvvisamente fa outing, un outing veramente illuminante e dice (testo ribattuto dalle agenzie): "La gente che fanno er cinema si lamenta che er cinema è in crisi? I film la gente non ce vo anna’ a vederli al cinema, se li vedono a casa i film, il cinema è finito… Ma poi arriva er film de Zalone che incassa centinaia di miliardi de gettoni d'oro, buoni del tesoro, ecc… Zalone vabbè fa ride, ma non è il cinema. E poi ner buio della sala me accorgo che non sono io che guardo il film, ma il film me guarda. E dice: tutta sta gente è venuta al cinema perché nun ce capisci un cazzo". Epifania. Solo allora capiamo ciò che è successo al successo in questi vent’anni. “Sole a catinelle” non parla del cinema (tranquillizzare dunque Federico), parla del pubblico. Di come esso è cambiato, di cosa preferisce massivamente, di cosa è diventato. Orfano di quell’indigeribile bassa epopea di gag strazianti, viste all’apice della pienezza ventrale, nello stordimento postprandiale di ogni maledetto 26 dicembre - il Cinepanettone – lo spettatore post-cinematografico, cioè televisivo, nativo-commerciale della tv più evanescente della storia della Tv (i contenitori della domenica), si recava smarrito davanti alle insegne spente del suo cinemino di quartiere, e lì c’era ad aspettarlo uno che appunto gli era affine, che non lo rappresentava bensì lo somigliava, che in definitiva gli era già noto; ne aveva ancora nelle orecchie di sgangherate risate zelighiane. Ebbene allora accorreva lo spettatore post-cinematografico, tuffandosi come in una vasca di tiepidi popcorn, nella scia del già noto. Aveva definitivamente optato – sarà anche il torpore della digestione lenta – non tanto per la semplicità, o per la leggerezza, doti ancora sopraffine, quanto per qualcosa d’innocuo, come può esserlo l’esperienza rassicurante della ripetizione. Mai più straniamento, mai più sottotitoli, mai cinema estero, niente sangue, niente polpettoni politici, realismo, scene mute, ellissi, surrealismo, fine dei generi: mai più turbamenti. Lo spettatore zalonesco è uno spettatore rinnovato ragazzino, anche se ha 58 anni. Egli non condanna perché non vuole essere condannato. Non punisce il rumoroso grufolare del figlio nel silenzio buio della sala, perché non vuole essere punito del proprio russare impenitente. Non è il sonno dei giusti, è solo definitiva evasione. Egli ambisce unicamente al rito liberatorio della risata come, permettete l’afflato, liberazione intestinale. Molta soddisfazione immediata, nessun residuo. E’ quel “pubblico di merda” (“Sogni d’oro”, Nanni Moretti) che plaude dell’esserlo, che scambia l’insulto per incitazione. C’è un ridere alto e un ridere basso. Quello alto è ontologico: io rido di te. Quello basso no, è orizzontale: io rido con te (pur rimanendo immancabilmente solo). Zalone è con te, e con te, e con te…un altro biglietto! Accorrete pubblico…

Ps: Ad ogni modo chi vuole rivederlo con lo scrivente, metta un dito qua sotto. (Per conto nostro, dove l’abbiamo gustato - tutta la redazione si teneva per mano - il Caporedattore ha preso il cestino da un kg di mais esploso, il Direttore una tanica da 5 litri di Coca Cola, e c’era uno in prima fila, con un cappello, robusto, abbracciato ad una donna minuta; disturbava tutti parlando con alta voce nasale, in un marcato accento romagnolo, sembrava dirigesse qualcosa, ne digerisse altra, e salutava con la mano).

Valerio de Filippis

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