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LA GERMANIA EUROSCETTICA
DI CUI NESSUNO PARLA

di Gabriele D’Ottavio

La principale novità emersa dagli ultimi appuntamenti elettorali in Germania è il rilevante ingresso sulla scena politica di un nuovo partito. Si tratta di Alternativa per la Germania (Alternative für Deutschland - AfD), sorta nel febbraio 2013 su iniziativa di un gruppo di economisti guidato da un professore di Amburgo, Bernd Lucke. Alle politiche del 22 settembre 2013, l’AfD ha ottenuto il 4,7% dei consensi, quasi due milioni di voti. Alle successive elezioni europee del 24 e 25 maggio 2014 ha registrato il 7% delle preferenze, più del doppio dei voti conseguiti dallo storico Partito liberaldemocratico tedesco (Fdp). Infine, alle recenti elezioni regionali nei tre Länder orientali – in Sassonia (31 agosto) e in Turingia e Brandeburgo (14 settembre) – l’AfD ha ottenuto, rispettivamente, il 9,7%, il 10,6% e il 12,2% dei consensi.

Siamo dunque in presenza di un fenomeno politico tutt’altro che effimero. Eppure di questo partito, che di fatto ha già intaccato la tradizionale stabilità del sistema partitico tedesco, in Italia si è parlato finora molto poco. Forse perché l’AfD è uno dei prodotti della crisi europea e, in particolare, della gestione tedesca della crisi dell’eurozona, di cui, opportunisticamente, conviene ignorare l’esistenza. L’AfD, infatti, si è presentata sulla scena politica proponendo di porre fine agli sforzi profusi per aiutare i paesi europei indebitati e di suddividere l’eurozona in parti più piccole ed economicamente più omogenee. La presenza in Germania di una formazione che contesta il progetto di un’Europa unita in alcuni suoi punti sostanziali potrebbe, quindi, togliere forza agli argomenti che considerano la politica europea della Cancelliera come il «male assoluto». Se l’obiettivo è quello di convincere Angela Merkel a rivedere le sue politiche rigoriste, meglio allora parlare degli interventi pubblici di Jürgen Habermas o di Ulrich Beck, che hanno accusato la Cancelliera di mancanza di coraggio e di tradire i principi della solidarietà europea e del multilateralismo internazionale, poiché tali prese di posizione rappresentano un’autorevole sponda per supportare le critiche italiane alla gestione tedesca della crisi.

A uno sguardo più attento, però, che consideri il possibile impatto dell’AfD sul sistema politico tedesco e, di conseguenza, anche sul futuro della politica europea della Germania, questo nuovo partito potrebbe dimostrarsi un fenomeno tutt’altro che transitorio. Sia le europee sia le più recenti elezioni regionali hanno mostrato che l’AfD ha tutte le carte in regola per aspirare a diventare il concorrente principale dei cristiano-democratici (Cdu/Csu) sul lato destro dello spazio politico, sostituendo così i liberali della Fdp. Le prime analisi sui flussi elettorali mostrano, inoltre, che l’AfD è riuscita nell’impresa non facile di sottrarre voti a tutti i partiti tradizionali, sia a quelli più piccoli collocati sulle ali dello spazio politico (Fdp, Linke e Verdi), sia ai due grandi partiti popolari posizionati al centro (Cdu/Csu e Spd). Se questa tendenza fosse confermata, l’AfD potrebbe diventare un attore rilevante nel sistema partitico tedesco e condizionare la politica di governo più di quanto non sia riuscito a fare finora. E a tale riguardo, l’affermazione dall’AfD – sorta ufficialmente come partito anti-euro – ha evidentemente portato in superficie anche la presenza di un potenziale di mobilitazione per un progetto di sfida al tradizionale consenso europeista dell’élite tedesca. Il tentativo degli altri partiti di isolare politicamente l’AfD per le sue posizioni anti-euro è, infatti, riuscito solo in minima parte. D’altra parte, ciò si spiega anche alla luce del fatto che l’AfD, rispetto al suo debutto alle elezioni politiche del 2013, ha parzialmente attenuato le sue posizioni euroscettiche a ridosso dei successivi appuntamenti elettorali, addirittura accantonando il tema dell’uscita della Germania dall’euro e puntando sempre più su temi quali l’immigrazione e la difesa dei valori della famiglia tradizionale. Coerentemente con questo orientamento, l’AfD ha anche voluto marcare le distanze da partiti europei che propongono un euroscetticismo più radicale come il Front National e l’Ukip, approdando al Parlamento europeo nel Gruppo europeo dei conservatori.

Se rapportato al peso che in altri contesti nazionali – come in Francia o in Gran Bretagna, per esempio – ha assunto l’euroscetticismo, quello tedesco rappresentato dall’AfD, almeno per il momento, non va dunque sovrastimato. Tuttavia, se in Germania non vi è stato alcun passaggio percettibile verso un populismo nazionalistico di destra o di estrema destra, tale impermeabilità alle tendenze diffuse nel più ampio contesto europeo si spiega in larga parte con una situazione economica ancora relativamente favorevole: tale da consentire alla Germania, diversamente dagli altri stati membri, di mantenere la produttività economica ai livelli precedenti la crisi, ma anche da far ritenere all’opinione pubblica tedesca che la crisi sia stata provocata e vada risolta fuori dai confini nazionali. A fronte dei primi segnali di rallentamento dell’economia tedesca, corroborati anche dal recente dato sul calo della fiducia degli investitori, non si può escludere, però, che prima o poi anche in Germania si possa creare un terreno favorevole per la diffusione di nuovi e più accesi sentimenti euroscettici. E se ciò accadesse, a quel punto saremmo costretti a prendere sul serio anche quell’opposizione interna alla Merkel, di cui al momento, apparentemente, conviene non parlare. (19 set)

(da mentepolitica.it)

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