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COSA CI INSEGNA
LO SCANDALO ROMANO

COSA CI INSEGNA <br> LO SCANDALO ROMANO

di Paolo Pombeni

Quel che sta avvenendo con la vicenda della cosiddetta mafia di Roma deve essere qualcosa da cui trarre delle lezioni, più che una scontata occasione in cui tutti si stracciano le vesti e rovesciano le colpe sul solito “diavolo” onnipresente.
Il danno d’immagine, per non dire di più, che questi fatti stanno infliggendo all’Italia in un momento molto complicato è grandissimo. Renzi ha ragione a lamentarsi che questo ha messo fra parentesi le riforme fatte. Certamente la Merkel anche in presenza di queste notizie che rimbalzano sulla stampa internazionale interviene per rassicurare il suo elettorato conservatore che l’Italia non può eludere la sua condizione di sorvegliato speciale. Altrettanto certamente gli investitori stranieri non saranno invogliati a creare da noi posti di lavoro con una corruzione gangsterica di quel livello. 
Detto questo, ci sono però altri punti sui quali vorremmo attirare l’attenzione, perché se gli scandali non servono per imparare qualcosa c’è davvero da preoccuparsi.
 Quanto accaduto rafforza la convinzione che la magistratura e i carabinieri possano essere l’unica salvezza contro la corruzione (già il fatto che agenti della polizia informassero i criminali è una aggravante). Ciò dilata il potere di questo corpo/corporazione e in un sistema di distribuzione bilanciata dei pesi istituzionali non è un bene. Non si tratta di mancare di gratitudine a chi ha meritoriamente sollevato il coperchio su una fogna, ma si tratta di ricordare che il problema è ampio e merita attenzione. In parallelo sta la questione delle intercettazioni. Difficile negare che in questo caso sia il mezzo d’indagine in sé sia il rendere pubblico il contenuto di quelle conservazioni abbiano al tempo stesso avuto un rilievo fondamentale per l’indagine e un valore pedagogico per svelare al pubblico a che livelli sia ridotta la nostra vita politica (perché, non dimentichiamolo, non stiamo parlando di un paesino della Sicilia, ma della capitale d’Italia). Impossibile non chiedersi se questo non impedirà una regolamentazione dell’uso di questo mezzo d’indagine che eviti eccessi ed abusi di cui siamo stati spettatori.
Il secondo punto su cui val la pena di riflettere è come siano ridotte le strutture di formazione e selezione del personale politico. Ovviamente i vertici politici non hanno modo di occuparsi personalmente di tutto e per forza di cose devono circondarsi di collaboratori. Per evitare che debbano affidarsi a persone con cui non hanno un rapporto diretto di fiducia (i burocrati) hanno il diritto di sceglierle direttamente. Però è possibile che sbaglino a questi livelli? Veltroni è sotto choc per quanto capitato ad un personaggio del suo entourage, ma c’è da chiedersi come gli sia accaduto di dare fiducia a gente simile. Per carità, anche Brandt dovette scoprire che il suo collaboratore di fiducia era al soldo dei servizi segreti della DDR. Tuttavia una revisione dei sistemi di selezione del personale politico da parte dei partiti si impone e non è immaginabile che non ci sia all’interno di essi quel controllo reciproco dei membri che in genere consente di isolare le mele marce o chi ha inclinazioni in quella direzione. Se non avviene, c’è da dubitare che le male marce siano in maggioranza.
A questo proposito suggerisce una riflessione non lieta la difesa dell’on. Campana che ha liquidato la censura sul fatto che si fosse rivolta ad uno dei grandi corruttori in un messaggio con un “bacio grande capo” con la spiegazione che lei scrive così a migliaia di persone. Anche prendendo per buona questa spiegazione, qualcuno dovrebbe chiarirle che quando si occupa una carica pubblica delicata non si può più usare il linguaggio di quando si era studenti all’università, soprattutto in rapporti con persone che hanno relazioni istituzionali. E’ un segno di un fenomeno sempre più evidente: la mancanza di “educazione” in gran parte di questo personale politico che, come temiamo creda il sottosegretario Faraone, pensa che si impari a far politica nelle “okkupazioni” delle scuole secondarie.
Ultima riflessione quella sul mondo delle coop. Qui si tratta di un capitolo delicatissimo, perché stiamo parlando di un colosso che tiene in piedi una fetta significativa dell’economia e dell’occupazione di questo paese, in parte, invero minima, anche grazie a condizioni fiscali di favore. Il tema non è la partecipazione dell’attuale ministro Poletti ad una cena, perché ovviamente ciò rientra in una routine in cui i vertici dell’organizzazione partecipano ad attività di rito presso i soci e devono ritenere che tutti i soci che li invitano siano a posto.
La questione è un’altra e molto pesante. Risulta che la cooperativa in questione versasse in maniera trasparente e registrata soldi per attività politiche ed elettorali alle maggiori forze politiche, destra o sinistra che fossero. Allora il tema è: può essere considerato coerente con la moralità cooperativa che istituzioni che sono per definizione no profit distribuiscano i profitti che fanno in finanziamenti politici a quelle forze che poi decideranno sulle loro domande di appalto?
Come si vede qui andiamo oltre il problema penale, che lasciamo come è giusto alla magistratura. Si tratta di una questione generale che interessa tutto il sistema delle cooperative e su cui devono aprire una riflessione, perché sanno benissimo di essere sotto attacco per i loro presunti privilegi e un indebolimento di quel sistema sarebbe un danno grave per l’economia del nostro paese in un momento così difficile. Dunque la Lega Coop su questo punto deve prendere posizione e farsi sentire.
Le lezioni romane sono amarissime, ma se servissero a farci fare come paese un salto di qualità, potrebbe anche essere il classico caso in cui da un male si ricava un bene.

(da mentepolitica.it)

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