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LA VECCHIA LEGA NON C’E’ PIU’
MA LA NUOVA DOVE VA?

di Massimo Piermattei

“Non ci fermiamo fino all’indipendenza”. Furono queste le prime parole pronunciate nel dicembre del 2013 da Matteo Salvini come segretario federale della Lega Nord. Parole che ben s’inserivano nel solco tracciato da Roberto Maroni quando, in seguito gli scandali finanziari che avevano rischiato di travolgere il partito, aveva puntato su un “ritorno alle origini” incentrato sull’autonomismo e sul governo delle regioni del Nord. Il nuovo segretario entrava in carica in una situazione complicata: alle politiche del 2013 la Lega aveva scontato i danni politici e d’immagine causati dall’ultima gestione Bossi, e aveva raccolto poco più del 4%, avvicinandosi ai minimi storici. Inoltre, nel febbraio 2014 il Consiglio di Stato aveva confermato l’annullamento della vittoria di Cota alle regionali in Piemonte del 2010.
Eppure, partendo dall’ottimo risultato (6,15%) ottenuto alle europee del successivo maggio, Salvini oggi rappresenta la principale alternativa a Matteo Renzi. Pur non avendo finora introdotto temi nuovi rispetto a quelli che hanno caratterizzato la Lega degli ultimi anni: antieuropeismo; opposizione alle migrazioni e alla società multiculturale; centralità delle PMI e delle partite iva. Come si spiega dunque questo boom? Innanzitutto, Salvini può sfruttare un vuoto che si è aperto nel centro-destra con la decadenza di Berlusconi e la conseguente crisi di Forza Italia. Senza questo vuoto difficilmente gli si sarebbero schiusi gli spazi politici e mediatici di cui oggi può godere. Inoltre, il perdurare della crisi economica e le difficoltà di ripresa della crescita sono stati tra i suoi principali alleati. La situazione, in altre parole, ha permesso a Salvini di catturare le simpatie anche di “insospettabili”, che in un altro contesto non lo avrebbero mai appoggiato, ma che non trovando altre risposte alle difficoltà e alla “rabbia” causate dalla crisi, si gettano tra le sue braccia.
Tant’è che Salvini dedica grande attenzione alla presenza mediatica nei talk show e sui social network. La cartina di tornasole della sua ascesa è nel numero di follower della sua pagina facebook - un’esperienza mistica, l’ha definita Matteo Munafò su “l’Espresso”: nei primi mesi del 2014 aveva poche decine di migliaia di “like”, mentre oggi sfiora i 900mila, sorpassando e non di poco Matteo Renzi (che però su twitter può vantare quasi due milioni di follower a fronte dei 150mila di Salvini, dati aggiornati al 28 aprile 2015).
Anche nella Lega Nord, dunque, i riflettori si sono accesi sul leader e non sul partito; o meglio, si sono accesi sul leader in modo diverso rispetto ai tempi di Bossi. Salvini sta costruendo una proposta politica interamente ancorata al suo personaggio e a poche parole d’ordine ripetute in ogni occasione e in ogni post. Tutto è incentrato su di lui: le celebri felpe, l’uso del suo cognome per il nuovo soggetto politico, il ricorso all’immagine e l’utilizzo del corpo, come nelle copertine di “Oggi” e “Panorama”.
Se i temi sono rimasti pressoché gli stessi, la discontinuità principale che si registra tra la Lega di Bossi e quella di Salvini, sta soprattutto nella scelta nazionalista di quest’ultimo, che ha finito per mettere in cantina l’autonomismo e l’“indipendentismo padano”. In questa prospettiva va letto il lancio – peraltro finora deludente - di “Noi con Salvini”, che altro non è se non il tentativo di fare della Lega Nord un soggetto politico nazionale senza però sbarcare al Centro-Sud con l’ingombrante presenza del Sole delle Alpi. Conferma questa tesi anche la scelta delle alleanze: in Italia il legame con la destra di Giorgia Meloni, non senza strizzare l’occhio alla galassia dell’estrema destra (come avvenuto in occasione della manifestazione di Roma di fine febbraio), in Europa con Marine Le Pen e il Front National, oltre all’ostentata ammirazione per Putin – alleanze semplicemente impensabili “ai tempi” del Senatùr. È come se Salvini stesse tentando di sganciare la propria immagine da quella della Lega Nord, da un lato per sposare un approccio alla politica più “leaderistico” e populista, dall’altro come se avesse la consapevolezza che per avere ambizioni nazionali un conto è riscuotere consenso su temi come l’Euro o l’immigrazione, ben altro è ottenere voti concreti alle elezioni, specie al Centro-Sud.
Il futuro assetto del centro-destra - in termini di leadership e di forze politiche - insieme ai tempi e alle modalità con cui l’Italia uscirà dalla crisi economica, saranno i banchi di prova della reale capacità di tenuta di Salvini e delle sue possibilità concrete di trasformare la Lega in un partito con vocazione nazionale e con un leader in grado di essere chiamato a guidare un esecutivo. Quel che è certo è che la Lega che abbiamo imparato a conoscere tra gli anni ’80 e ’90, la Lega di Bossi e di Pontida, dell’ampolla sul Po, della secessione, non c’è più. Quella di Salvini è più viva che mai, anche se forse sta diventando altro. Ma se non è più (o non più soltanto) Lega Nord per l’indipendenza della Padania, cosa è?

(da mentepolitica.it)

http://www.mentepolitica.it/articolo/la-lega-morta-viva-la-lega/464

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