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direttore Paolo Pagliaro

Milano ricorda Alighiero Boetti a 20 anni dalla morte

Mostre
Le grandi mostre in programma in Italia e quelle che hanno l'Italia, attraverso i suoi grandi artisti, come protagonista nel mondo. Lo "Speciale mostre" è un viaggio tra capolavori, opere d'avanguardia e sperimentali, pittura e scultura, memoria e identità, storia e filosofia, un tributo all'arte e ai suoi protagonisti e un modo per scoprire quanto di buono fanno le istituzioni nazionali e locali per il nostro patrimonio culturale e di creatività.

MILANO RICORDA ALIGHIERO BOETTI 

A 20 anni dalla morte di Alighiero Boetti la Galleria Christian Stein di Milano, in collaborazione con la Fondazione Alighiero e Boetti, dedica all’artista torinese una doppia mostra, che impegna la sede di corso Monforte e gli ampi spazi di via Vincenzo Monti a Pero, nel cuore dell’area dedicata all’Expo 2015. Nella storica galleria, ubicata nel cuore del capoluogo lombardo, sono esposte – fino al 28 febbraio - alcune delle opere presentate dal giovanissimo Boetti nelle due prime personali, che si tennero nel gennaio 1967 e nel febbraio 1968 presso la Galleria Christian Stein già attiva a Torino, punto di riferimento delle nuove avanguardie. Si tratta di lavori tridimensionali basati sulla tautologia o derivati da oggetti d'uso comune (Mancorrente, Tavelle, Pavimento, Parallelepipedo luminoso, Eternit, Mazzo di tubi), “re-invenzioni delle invenzioni”. Ripercorsa l’intera carriera dell’artista con circa 40 opere, alcune delle quali monumentali, tra cui il celebre ritratto “Io che prendo il sole a Torino il 19 Gennaio 1969”, una tra le opere più celebri di Boetti, risultato esemplare della poetica dell’artista, perfettamente risolta tra libertà creativa e rigore metodologico. Anche a Pero sono esposte opere monumentali come le 51 Poesie con il sufi Berang. Presente anche la sua ultima opera, l’Autoritratto fuso in bronzo dal calco del corpo dell’artista.

 

IL GIAPPONE DAI SAMURAI A MAZINGA

1868. Questo il numero magico da cui prende il via il racconto del fascino, della cultura, dei misteri del Giappone, narrato da Casa dei Carraresi di Treviso fino al 22 febbraio. Nel 1868 infatti il Giappone destituiva l’ultimo shogun Tokugawa, restituiva il potere al giovane imperatore Meiji e apriva le porte all’Occidente rivelando la sua cultura millenaria, frutto di una particolarissima evoluzione, del tutto inusuale per l’Occidente, proprio grazie alla chiusura che quest’arcipelago seppe custodire gelosamente per secoli. La ricchissima mostra “Giappone. Dai Samurai a Mazinga” espone oltre 500 reperti, tra oggetti d’arte databili tra il XVII e il XX secolo, prestiti da collezioni private e museali, armi, armature, ceramiche e porcellane, rotoli dipinti, paraventi, straordinarie lacche, stampe dell’Ukiyo (letteralmente “Immagini del Mondo Fluttuante”, opere dei grandi maestri Hokusai, Utamaro, Hiroshige), le Shunga (immagini erotiche), Netsuke, maschere, tessuti e preziosi Kimono, sculture in legno e in altri pregiati materiali. Tutto per rappresentare il Giappone dell’immaginario collettivo, che spazia appunto dai Samurai alle Geishe, alla Cerimonia del Te, alla paziente cultura del Bonsai, alla Festa dei Ciliegi in fiore, all’Ikebana, all’incanto ipnotico del teatro Kabuki, del teatro No, sino al fascino esercitato dalla pittura giapponese sui grandi movimenti pittorici europei, l’Impressionismo e l’Espressionismo, basti citare tra tutti Van Gogh e Monet. Non manca un focus su fumetti, fotografie, stralci di film di Akira Kurosawa e sui Manga. Disseminati lungo tutto il percorso espositivo, i robot giunti in Italia negli anni Settanta come Mazinga Z, Goldrake e Jeeg Robot d’Acciaio.

 

IL DESIGN ITALIANO OLTRE LE CRISI

La settima edizione del Triennale Design Museum, fino al 22 febbraio, sul tema “Il design italiano oltre le crisi”, focalizza la sua attenzione sul tema dell'autosufficienza produttiva, declinato e affrontato in modo diverso in tre periodi storici cruciali: gli anni trenta, gli anni settanta e gli anni zero. L’idea alla base è che il progettare negli anni delle crisi economiche sia una condizione particolarmente favorevole allo stimolo della creatività progettuale: le origini del design italiano negli anni trenta, anni in cui i nostri grandi progettisti hanno realizzato opere esemplari, i distretti produttivi (nati negli anni settanta in piccole aree geografiche tra patrimoni di sapere e di eccellenza, basati su tradizioni locali e disponibilità diretta di materie prime) per arrivare alle sperimentali forme di produzione dal basso e di autoproduzione. In mostra, tra gli altri, lavori di: Enzo Mari, Andrea Branzi, Gio Ponti, Maurizio Cattelan, Fortunato Depero, Bruno Munari, Alessandro Mendini, Vittoriano Viganò, Paolo Ulian, Michele De Lucchi, Filippo Tommaso Marinetti, Marco Ferreri, Salvatore Ferragamo, Patricia Urquiola, Ettore Sottsass, Franco Raggi, Giulio Iacchetti, Caterina Crepax, Antonio Citterio.

 

OMAGGIO A LATHAM E BARUCHELLO

Artisti influenti e fuori dalle correnti artistiche riconosciute, sia Gianfranco Baruchello che John Latham - cui la Triennale di Milano dedica una mostra fino al 22 febbraio -, hanno stabilito un ponte tra arte visiva e sapere letterario, tra materiali artistici e interrogazione filosofica. Per l’artista britannico (Livingston, Zambia, 1921 – Londra, 2006) questa è la prima antologica mai realizzata da un’istituzione del nostro Paese, mentre per Baruchello (Livorno, 1924) si tratta della maggiore retrospettiva dedicata alla sua produzione filmica e video. Sin dalla metà degli anni cinquanta l’artista ha esplorato pittura, installazione, assemblaggio, film, fotografia, scrittura e sonoro, espandendo la ricerca visiva ben oltre gli ambiti linguistici tradizionali e introducendo nel linguaggio dell’arte le pratiche dell’agricoltura, dell’antropologia e dell’economia come forme di analisi critica della società dei consumi. John Latham (Livingstone, Zambia, 1921 – Londra, 2006) è una delle figure più affascinanti della scena artistica europea dal secondo dopoguerra: sin dagli anni Cinquanta ha esplorato pittura, scultura, assemblaggio, performance, film e installazione testando i limiti formali e concettuali di ciascun medium.


A BOLZANO I “CRONOGRAMMI” DI BALESTRINI

Le opere di Nanni Balestrini dimostrano l’attualità del rapporto immagine-testo e testimoniano la trasformazione in un linguaggio attuale delle posizioni della poesia visiva. L’esposizione ”Oltre la poesia”, che gli dedica fino al 22 febbraio il Museion - Museo d'Arte Moderna e Contemporanea di Bolzano, propone una panoramica del lavoro dell’80enne artista dagli anni ’60 con una particolare attenzione ai diversi media impiegati: dai “Cronogrammi” ai vari gruppi di collage degli anni ’70 e ’80 fino al film infinito “Tristanoil”, presentato in occasione di Documenta del 2012. 

 

SULLE TRACCE DEI GHIACCIAI SPARITI

In Alaska ghiacciai ridotti di 15 km in 100 anni. Una perdita di 3450 km3 di acqua. La mostra “Sulle tracce dei ghiacciai” del fotografo Fabiano Ventura - al Museo nazionale preistorico ed etnografico Luigi Pigorini di Roma fino al 25 febbraio -, racconta il drammatico confronto tra immagini storiche e moderne realizzate in Alaska, Caucaso e Karakorum. L’impressionante disgregazione della calotta di Glacier Bay, in Alaska, ha comportato una perdita di volume di 3450 km3 che equivale a un innalzamento degli oceani dell’intero Pianeta di 1 cm. In Alaska, che ospita il maggior numero di ghiacciai montani del Pianeta con una superficie di 89901 km2, pari a circa 35 volte quella dei ghiacciai alpini, i due ghiacciai più importanti della regione sono arretrati di circa 15 chilometri in poco più di 100 anni, mentre il ghiacciaio Read è arretrato di circa 3,5 chilometri. Questi sono solo alcuni dei risultati prodotti dalla spedizione in Alaska del progetto “Sulle tracce dei ghiacciai” che, ancora una volta, porta a casa, dopo il Karakorum e il Caucaso, notevoli documenti: 28 confronti fotografici, 6 panoramiche, georeferenziazione di tutte le immagini, un documentario di 52 minuti. 

 

 

 

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