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RDC, GUERRA: CONSULTA
CI ESORTA A INTERVENIRE

La Corte Costituzionale ha respinto l'equiparazione tra cittadini residenti e immigrati temporanei nel diritto ad accedere al reddito di cittadinanza. Dunque, sembra non ci sia discriminazione nell'escludere parte degli stranieri presenti regolarmente in Italia. “E’ una pronuncia - commenta Maria Cecilia Guerra, sottosegretaria al Mef, in una intervista ad Avvenire - che va letta in linea con i precedenti interventi nel campo sociale. Solo pochi giorni fa la Corte ha confermato come incostituzionali le disposizioni che vincolavano l'accesso a misure come il bonus bebé o l'indennità per i disabili a una permanenza lunga in Italia. Il motivo per cui in questo caso non c'è stata la censura deriva dalla natura del reddito di cittadinanza che è finalizzato non solo a contrastare la povertà ma soprattutto al reinserimento sociale e lavorativo. Questo aspetto lo differenzia da altre misure meramente assistenziali” e "la Corte dice anche che resta compito della Repubblica garantire il diritto di ogni individuo alla sopravvivenza e al minimo vitale, sottolineando una carenza del nostro ordinamento su questo fronte. Ma non si può con una sentenza correggere uno strumento in essere che ha una certa finalità e convertirlo a un altra”. Il Rdc, aggiunge l'esponente di Leu, “è stato impostato con la logica che povertà e mancanza di lavoro siano la stessa cosa. Ma non è così. Abbiamo una forte diffusione di lavoratori poveri, o individualmente o nel contesto familiare, come ha sottolineato nei giorni scorsi la commissione istituita presso il ministero del Welfare. E poi ci sono persone che non possono lavorare perché inabili o dediti alla cura dei loro familiari, o perché sono da tempo fuori dal mondo del lavoro e vivono condizioni di marginalità sociale”. E conclude: “Dobbiamo agire con urgenza in due direzioni. Eliminare la soglia della residenza dei 10 anni. E intervenire sul Rdc per distinguere meglio tra la misura di contrasto alla povertà, che non può avere soglie di accesso discriminatorie, dagli interventi di politiche attive. Per farlo c'è bisogno di superare la propaganda politica secondo la quale chi è povero lo è per colpa sua, perché è un ‘poltronaro’ che non vuole lavorare”. (27 GEN / red)

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