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direttore Paolo Pagliaro

Non basta dire
“filoatlantico”

di Paolo Pagliaro

Grazie ai sette anni del mandato presidenziale, il Quirinale è l’istituzione più stabile di cui disponga l’Italia. Anche questo spiega l’attenzione con cui le cancellerie internazionali stanno seguendo le votazioni in corso a Montecitorio. La sponda del Quirinale consente di pianificare un rapporto di medio-lungo periodo con Roma.
Una seconda ragione di interesse, per gli osservatori stranieri, è rappresentate dal ruolo che la Presidenza della Repubblica si è ritagliata nell’ambito della politica estera.
La materia è di competenza dei governi e del parlamento, ma nel tempo si è andata affermando una “diplomazia del presidente “ che integra le posizioni dell’esecutivo e qualche volta le corregge.
E’ accaduto in modo vistoso tre anni fa, all’indomani dall’incontro alla periferia di Parigi tra l’allora vicepremier Luigi Di Maio e i leader dei gilet gialli, il movimento di protesta che aveva messo a ferro e fuoco la capitale francese. L’Eliseo reagì con durezza. Per la prima volta dopo il 1940, Parigi ritirò il suo ambasciatore in Italia e ci vollero l’impegno e il prestigio di Mattarella per ricucire uno strappo di cui oggi – alla luce delle vicende europee legate al Recovery Plan – possiamo meglio valutare la portata.
Fu Mattarella a rappresentare il punto di vista e l’interesse nazionale nei rapporti, non sempre distesi, con la Casa Bianca di Donald Trump, in particolare sulla questione dei dazi e sul contributo italiano al bilancio della Nato. E fu sempre Mattarella, in più circostanze, a far valere le ragioni della solidarietà europea contro le tentazioni sovraniste.
Dire che il suo successore deve essere filoatlantico è decisamente riduttivo.

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