di Paolo Pagliaro
(1 aprile 2016) Il 4 settembre 2015, intervistato dalla rete televisiva Abc, il generale statunitense Martin Dempsey, capo degli stati maggiori congiunti, rivelò le vere dimensioni della crisi migratoria. Spiegò che sarebbe durata una ventina d’anni e che da tempo veniva osservata al microscopio nei vertici della Nato come un virus inafferrabile e difficile da curare.
Con questa profezia si apre “L’Assedio”, titolo del saggio in cui Massimo Franco racconta come l’immigrazione sta cambiando il volto dell’Europa e la nostra vita quotidiana.
Il libro – edito da Mondadori - indaga i contraccolpi strategici di quanto sta avvenendo: in termini di sicurezza, di pressione sulle infrastrutture ospedaliere, sui sistemi educativi, sui centri di accoglienza.
Analizza lo stravolgimento delle alleanze che sta comportando a livello internazionale. Racconta l’«industria della migrazione», legale e criminale, fiorita sulla pelle dei migranti. Delinea i contorni di quel «Quinto Mondo» identificato con l’immigrazione clandestina. Scandaglia le opportunità e le incognite di una demografia che condanna l’Europa del futuro ma non la fa ragionare, perché a guidarla sembra essere la paura.
Governare l’immigrazione o subirla: il dilemma è questo. Massimo Franco è per la prima opzione e trova sconcertante, o ipocrita, che uomini politici e intellettuali si ergano a difensori della religione in un continente che ha fatto per decenni della secolarizzazione il biglietto da visita della propria modernità e del proprio progressismo.
La prospettiva è quella di una grande migrazione che avrà poche pause; e che non ha provocato ma piuttosto rivelato le fragilità, le crepe, le contraddizioni di quello che pensavamo fosse il «Continente perfetto», democratico, pacifico, aperto agli altri: una sorta di piccolo paradiso laico e terreno delle libertà individuali e collettive. Occorre rompere l’assedio, a cominciare da quello – interno - che ha come bersaglio l’idea stessa di Europa.