LOREDANA LIPPERINI E “L’ARRIVO DI SATURNO”
“L’arrivo di Saturno”, romanzo di Loredana Lipperini edito da Bompiani, racconta la vicenda reale di Graziella De Palo, una giovane giornalista innamorata della giustizia che il 2 settembre 1980 scompare a Beirut assieme al collega Italo Toni. Dovevano visitare dei campi profughi al confine con la Palestina, ma seguivano in realtà una pista sul traffico d’armi intrecciata con le vicende del terrorismo, delle stragi e con parecchi misteri della politica italiana e internazionale dell’epoca. Di loro non si è saputo più nulla. Han van Meegeren è un pittore olandese di scarsa fortuna, noto e dileggiato per le sue rose grigie, quando accetta da un uomo in nero un incarico bizzarro: dipingere un Giudizio Universale in una cappella battuta dal vento sulla cima di un colle italiano. Purché sia un Giudizio di Vermeer. Suo, ma di Vermeer. Chi è l’uomo in nero che si fa chiamare semplicemente Acca? E perché gli chiede di diventare un falsario, come di fatto accadrà? Dora, la voce narrante di questo romanzo, è cresciuta insieme a Graziella. “Eravamo di quelle amiche che sono sempre insieme, che non riescono a stare lontane neanche per un pomeriggio. E invece ci siamo allontanate, e quando ci siamo allontanate lei è morta. E la sua storia, il modo in cui è morta, è talmente assurda che se la raccontassi non ci crederebbe nessuno. Così ho cominciato a scriverne un’altra, che è davvero assurda, ma se un romanzo è assurdo tutti ci credono. La realtà invece non interessa a nessuno.” Due romanzi in uno, una doppia vicenda nata da un dolore mai sopito che mescola fatti reali e invenzione, memoria di un’amicizia e mito, ed elaborata con l’abilità di chi da sempre cerca e trova nella narrazione propria e altrui una profonda ragione di vita. Perché “noi volevamo essere ingannate, tutte e due: Graziella dalla ricerca della verità, io dalla ricerca della finzione, che è parente stretta del falso anche se si chiama letteratura”. Loredana Lipperini, giornalista e scrittrice, è una delle voci di Fahrenheit su Radiotre e scrive per le pagine culturali de “la Repubblica”. Il suo blog Lipperatura, attivo dal 2004, è un punto di riferimento per la discussione letteraria, culturale, politica. Ha pubblicato romanzi gotici con lo pseudonimo di Lara Manni e fra l’altro i saggi Ancora dalle parte delle bambine (2007), Non è un paese per vecchie (2012), L’ho uccisa perché l’amavo con Michela Murgia (2013) e il libro per ragazzi Pupa (Rrose Sélavy, 2013).
“ALLA RICERCA DI MR DARCY”, OMAGGIO A JANE AUSTEN
In vista del bicentenario della morte di Jane Austen (18 luglio 1817), Iacobelli Editore pubblica nella collana “I Leggendari” il testo di Giovanna Pezzuoli, “Alla ricerca di Mr Darcy”, che mette a fuoco il protagonista più smagliante e imitato del famoso romanzo della scrittrice, “Orgoglio e pregiudizio”. Pezzuoli ripercorre i film e le serie tv che hanno dato corpo al più orgoglioso dei personaggi letterari, oggetto del desiderio di milioni di donne nel mondo e modello di una possibile relazione tra i sessi basata sulla reciprocità di virtù e sentimenti, più che su una supposta complementarietà. Gli interpreti, le trasposizioni, i remake e le riscritture del celebre romanzo fanno emergere la finezza e la profondità della penna di quella “zitella illetterata” che è una colonna del canone letterario occidentale (e non solo) e allo stesso tempo icona di un fenomeno popolare di crescente successo dagli anni Novanta del secolo scorso. Giovanna Pezzuoli, con penna lieve e divertita, si interroga anche sul perché sia proprio Mr Darcy il personaggio maschile di Jane Austen di gran lunga preferito, mettendolo a confronto con gli altri usciti dalla penna della scrittrice – e con l’altro modello che ha spopolato dall’Ottocento in poi: il romantico, problematico, iroso, imperfetto Mr Rochester di Jane Eyre (Charlotte Brontë), capostipite della tradizione “io ti salverò”, vale a dire di quella “trappola” sentimentale per cui generazioni di donne si sono immolate sull’altare dell’amore.
“IL MISTERO DELLE ANTICHE ROTTE” DI ELENA TORRE
A Pisa, durante i lavori in uno scalo ferroviario dove un tempo sorgeva l’antico porto della città, nella stiva di un relitto romano viene alla luce una nave di origine egizia dedicata a Iside. Una nave all’interno di un’altra nave. Una scoperta sensazionale che potrebbe cambiare l’interpretazione del legame tra il culto isiaco e Roma imperiale. Per valutare l’eccezionale ritrovamento, l’ateneo pisano convoca John Cartridge, archeologo di fama mondiale, che si trova già in Toscana in procinto di salpare per una crociera nel Mediterraneo con un gruppo di amici. Così inizia “Il mistero delle antiche rotte” di Elena Torre (Cairo Editore). Quella che doveva essere una spensierata vacanza si trasforma così in una caccia al tesoro con giocatori sparsi in giro per il mondo. Perché Cartridge non può certo tirarsi indietro, e da solo non può arrivare a interpretare tutte le incognite che riguardano il più importante evento archeologico degli ultimi tempi. Sarà fondamentale l’aiuto dei suoi compagni del mancato viaggio: il chirurgo Hans Müller, il giovane archeologo Alessandro Bertolucci, l’avvocato Rebecca De Roberto e, soprattutto, l’antropologa Michelle Valmont, esperta di simbologia arcana. Ma qualcun altro ha messo gli occhi sulla misteriosa nave di Iside: Erik Rein, capo di una setta segreta, vuole impossessarsene a ogni costo per portare a termine il suo piano tanto folle quanto raccapricciante, che coinvolge il sangue del suo sangue. Dopo “Il segreto dei custodi della fede”, un’altra storia ad alta tensione per gli appassionati del thriller archeologico: macabri oggetti di culto, rituali esoterici, iniziazioni, amuleti e amori proibiti scandiscono una corsa contro il tempo in cui il destino dei suoi protagonisti cambierà per sempre. Elena Torre nasce nel 1973 a Viareggio. Scrittrice e giornalista, pubblica il suo primo romanzo “Decima personale di Julie Valmont” nel 2005. Autrice prolifica ed eclettica si muove con passione ed entusiasmo tra il teatro e la letteratura, toccando i generi più diversi: racconti, saggi, gialli, favole e storie per bambini, testi teatrali. Nel 2008 esce “Giorgio Gaber. L’ultimo sileno”, nel 2014 “Un bambino a Bloomsbury”, appassionato omaggio a Virginia Woolf e nel 2015 “Il segreto dei custodi della fede” (Cairo).
ANDARE PER I LUOGHI DELLA DIETA MEDITERRANEA
Convivialità, stagionalità, sostenibilità. Sono i segreti della dieta mediterranea, raccontati da Elisabetta Moro e Marino Niola in “Andare per i luoghi della dieta mediterranea” (Il Mulino). Uno stile di vita che ha conquistato il mondo. Scoperta negli anni Cinquanta tra Napoli e il Cilento da due scienziati americani. Fondata sugli alimenti-simbolo della triade mediterranea – cereali, olio e vino – questa dieta che non è una dieta combina felicemente eredità del mondo classico e tradizioni locali. Scopriamola nei suoi luoghi sacri: dalla Campania, con Amalfi e le acciughe di Cetara, o con Pozzuoli, regno dei frutti di mare, alla Puglia, con le orecchiette di grano arso di Tricase e con la pasta di mandorle di Lecce, dalla Lucania, con il suo pane antico, alla Sicilia, con i tonni di Favignana, le panelle di Palermo e gli arancini di Catania – oltre che in quegli autentici empori di tipicità che sono Napoli, Genova, Venezia. Elisabetta Moro è professore ordinario di Antropologia culturale all’Università di Napoli Suor Orsola Benincasa. Con il Mulino ha pubblicato “La dieta mediterranea. Mito e storia di uno stile di vita” (2014). È editorialista del Mattino e del settimanale svizzero Il caffè. Marino Niola è professore ordinario di Antropologia dei simboli all’Università di Napoli Suor Orsola Benincasa dove, con Elisabetta Moro, dirige il MedEatResearch-Centro di ricerche sociali sulla dieta mediterranea. È editorialista della Repubblica. Con il Mulino ha pubblicato “I Santi patroni” (2007), “Si fa presto a dire cotto. Un antropologo in cucina” (2009), “Non tutto fa brodo” (2012) e “Homo dieteticus” (2015).
“VOLGARE ELOQUENZA” DI GIUSEPPE ANTONELLI
Nel momento stesso in cui si mitizza il popolo sovrano, lo si tratta in realtà come un popolo bue. Qualcuno a cui rivolgersi con frasi ed espressioni terra terra, cercando di risvegliarne bisogni e istinti primari. Da questa idea di popolo discende un’eloquenza volgare, rozza, semplicistica, aggressiva. Ne parla Giuseppe Antonelli – docente di Linguistica italiana all’Università di Cassino - in “Volgare eloquenza. Come le parole hanno paralizzato la politica” (Il Mulino). L’epoca in cui viviamo si definisce post-ideologica. È il tempo della post-politica e della post-verità. Ovvero (cambiando l’ordine degli addendi, la somma non cambia) politica e verità da post. Parole e slogan virali che fanno il giro della rete propagandando spesso opinioni su fatti mai esistiti. Quello a cui ci si riferisce con questa sfilza di post è, in realtà, un pensiero prepolitico. E la lingua che lo veicola, più che una neolingua, è una veterolingua che invece di mirare al progresso vorrebbe farci regredire, riportandoci agli istinti e alle pulsioni primarie. Indietro, o popolo! Dal “Votami perché parlo meglio (e dunque ne so più) di te” si è passati al “Votami perché parlo (male) come te”. Come la pubblicità, come la televisione, anche la politica alimenta il narcisismo dei destinatari, i quali – lusingati – preferiscono riflettersi che riflettere. Il meccanismo del ricalco espressivo innesca una continua corsa al ribasso. Un circolo vizioso che toglie al discorso politico qualunque forza propulsiva, qualunque dinamismo. Non una risposta ai bisogni degli italiani, ma pura ecolalia: ripetizione ridondante. Così le parole stanno paralizzando la politica.
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