di Paolo Pagliaro
Draghi non ha un partito e anche questo spiega la tenuta della sua ampia ed eterogenea maggioranza. Ma se l’autosufficienza diventa solitudine Draghi rischia e con lui rischia l’Italia, che ha firmato con l’Europa un contratto impegnativo e con scadenze molto ravvicinate. Per riformare giustizia, pubblica amministrazione e fisco, Draghi avrebbe bisogno di quella ampia solidarietà nazionale che Mattarella aveva invocato per lui, ma che al momento il presidente del Consiglio sta ricevendo in dosi omeopatiche, come scrive su Mentepolitica.it lo storico Paolo Pombeni. Le riforme annunciate sono “beni comuni” di cui tutti dovremmo sentirci responsabili, perché dal loro successo dipende il nostro futuro collettivo, osserva un altro professore, il giurista Gregorio Arena, fondatore e presidente di Labsus, l'associazione che promuove la sussidiarietà. Anche Arena pensa che si debba dar vita a un movimento di opinione per sostenere dall’esterno del Palazzo il cammino delle riforme e per contrastare chi le boicotta, a cominciare dalle burocrazie di alcuni grandi ministeri . I cittadini, secondo la proposta di Labsus, dovrebbero poter verificare costantemente sul web lo stato di avanzamento del processo riformatore, contribuendo al superamento delle resistenze e al miglioramento degli interventi.
Se poi si hanno dei dubbi su cosa significhi riformare, si può leggere utilmente un saggio intitolato “Il segno più”, appena pubblicato da Luiss University Press. Lo ha scritto l’economista Alberto Heimler : riformare, per lui, significa cambiare le regole che oggi bloccano ogni nuova iniziativa che metta in discussione l'"ordine" esistente. In un paese in cui ogni rendita è salvaguardata - dalle banche alle professioni, dai taxi agli stabilimenti balneari – riformare significa creare regole nuove che incentivino l'iniziativa economica, senza mettere a repentaglio l'interesse generale.