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Il mito della politica
radicalizzata

di Paolo Pombeni

Sarà per la battaglia elettorale ormai avviata a tutta forza, sarà per l’avvento al potere di nuove generazioni politiche allevate più al movimentismo che alla ricerca di soluzioni da proporre e governare, sta di fatto che ogni giorno che passa cresce la radicalizzazione della comunicazione di partito.  Scriviamo della comunicazione e non necessariamente della politica in sé, perché abbiamo l’impressione che siamo di fronte più ad un universo retorico che non ad un contesto in cui si faccia azione di governo, vuoi come maggioranza, vuoi come opposizione. Il messaggio che si cerca di far passare per tenere compatte le proprie schiere è che siamo ormai in una lotta finale fra il bene e il male e dunque non c’è spazio se non per un confronto che non ammette punti di sintesi e di incontro.
Per la verità, accanto a questo teatro politico c’è ancora nei meandri dei contatti più o meno riservati qualche spazio in cui si cerca di uscire dalle sceneggiate da talk show (per inciso: vi siete accorti che anche quelle sedi diventano sempre più palcoscenici per duelli senza alcun interesse a dare agli spettatori strumenti per valutazioni equilibrate?). Non stupisce dunque che la grande attesa dei media non sia per conoscere quali proposte avanzano i diversi partiti e quali azioni concrete sono in grado di mettere in campo, bensì sia quella di vedere il grande duello televisivo fra Schlein e Meloni, dove ciascuna reciterà una parte che ha già sostenuto in numerose occasioni. Perciò non c’è un particolare interesse per scoprire se proporranno qualche misura effettivamente in grado di affrontare qualche collo di bottiglia che indebolisce il nostro sistema, ma una forte aspettativa per vedere quanto e come ciascuna sarà in grado di mettere in difficoltà la narrazione dell’altra.
In questo contesto non ha dato segnali di novità il seminario dei deputati PD che si è tenuto in un hotel di Gubbio. L’iniziativa è stata così mal organizzata da divenire oggetto di frizzi e lazzi praticamente su tutta la stampa, inclusa quella simpatizzante: scarsissimo rilievo hanno avuto gli interventi degli esperti, nulla si è visto e saputo del contributo dei parlamentari. Giusto alla fine è arrivata la segretaria, che dopo aver fatto sapere che il giorno prima era andata al cinema (ma roba d’essai, mica occasione di svago) ha sciorinato, leggendo il canovaccio sul suo tablet, una serie di banalità condite da qualche spiazzante alzata d’ingegno.
Essendo noi in età anziana e abituati per mestiere a leggere i discorsi dei Moro, Togliatti, Fanfani, ma anche Malagodi e simili (e lasciamo da parte le grandi stature come De Gasperi, o Dossetti, o Einaudi), qualche sgomento ce l’abbiamo di fronte ad interventi che come quello dell’on. Schlein in un momento in cui il mondo si trova a fronteggiare sconvolgimenti notevoli, in cui l’Europa non riesce ad esercitare un ruolo di peso, non riesce ad affrontare in maniera significativa l’analisi di questa fase storica per recitare un po’ di formulette e fare battute da avanspettacolo sugli scivoloni dei suoi avversari.  I quali peraltro, sia detto con chiarezza, non è che siano capaci di offrire l’immagine di una classe dirigente all’altezza dei tempi. Non è con il facile qualunquismo sulle città a 30 all’ora, né con la battaglia per spartirsi le poltrone disponibili (non solo quelle politiche, vanno bene tutte), né con le litanie sulla legittimità di sostituire l’occupazione del potere esercitata da quelli di prima con una totalmente appannaggio della nuova maggioranza, che convinceranno un’opinione pubblica spaesata a considerare il coacervo della destra-centro come adatto a gestire in modo nuovo le asperità a cui stiamo andando incontro.
L’alzare il livello degli scontri verbali, il brandire quelle che si ritengono essere le mitologie storiche che legittimerebbero le schiere contrapposte, non riesce a far rivivere il ruolo portante dei partiti nella vita politica. Non a caso in questo contesto cresce il peso e il ruolo del governo, così come è testimoniato dalla tenuta dei consensi nei confronti di Giorgia Meloni (consensi che superano anche quelli per il suo partito). È lei che per il ruolo che ricopre può parlare di grandi questioni, può agire nei contesti importanti della scena internazionale, può tessere rapporti e relazioni che esulino dalla gestione della politica politicante. Ovviamente non è che da questa si tenga lontana, né che se ne disinteressi: anzi dovendo per tradizione e storia passata occuparsene e non avendo tutto il tempo necessario per farlo, deve affidarsi ai suoi pretoriani, gente quasi sempre poco adatta per compiti delicati.
Tuttavia proprio il clima di esasperata radicalizzazione che si sta imponendo al quadro politico impedisce alla premier di selezionare i collaboratori, di allargare la cerchia dei riferimenti, perché si è in un contesto in cui non è possibile rischiare di non contare sui vecchi compagni di avventura. Del resto non è che la situazione sia molto diversa per la Schlein, salvo il fatto che essendo frutto di un colpo di mano lei di “vecchi compagni” non ne ha, sicché si muove con quelli che, magari per ragioni diverse, hanno scelto poco tempo fa di correre la sua stessa avventura.

Fra le più qualificate e più consapevoli classi dirigenti del paese, tanto politiche, quanto sociali e culturali, serpeggia (per dirla con un termine riduttivo) una crescente preoccupazione per un clima e un contesto che non si riesce a considerare all’altezza delle sfide che ci troviamo davanti e di quelle che sono prevedibili già nel breve periodo. Più volte capita di sentir dire che passato il tornante delle elezioni europee la situazione andrà stabilizzata tanto a destra quanto a sinistra. Se e come si potrà concretizzare questo cambio di scenario sarà tutto da vedere.

  (da https://www.mentepolitica.it/)

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