Per quanto molti politici si sforzino di dire che sarebbe opportuno cominciare a parlarne a gennaio, il tema che corre neppur troppo sotterraneo all’interno della nostra classe politica riguarda proprio la successione a Sergio Mattarella. Intendiamoci, non è affatto una novità. Fin dagli ultimi sette mesi della presidenza Einaudi si discusse in anticipo della successione e, basta leggersi un po’ di memorialistica, anche dell’opportunità o meno di rieleggerlo. La stessa cosa capitò con Gronchi e poi con Pertini, per citare due casi in cui anche i diretti interessati esplorarono le possibilità di una loro permanenza al Quirinale. Né sono gli unici casi.
Tuttavia oggi siamo di fronte ad una novità assoluta, anzi a più d’una. La prima è che siamo in presenza di una emergenza nazionale con problemi di gestione dell’uscita da essa. Un qualche parallelo potrebbe esserci con l’elezione di Pertini per l’emergenza terroristica dopo l’assassinio di Moro, ma era un fenomeno più circoscritto e non contemplava un programma di ricostruzione come quello di oggi (per di più sotto condizionamento europeo). La seconda è che il successore di Mattarella sarà eletto da un parlamento che al massimo nel giro di un anno e mezzo sarà rivoluzionato dal taglio dei parlamentari approvato per compiacere le fantasie dei Cinque Stelle. La terza è che avviene nel momento in cui è in carica un governo di larghissima coalizione di fatto “inventato” dall’attuale inquilino del Quirinale al di fuori dei desiderata delle forze politiche.
Ce n’è abbastanza per capire che siamo di fronte ad un passaggio che, comunque verrà gestito, avrà ricadute sul sistema dei nostri equilibri politici. Infatti sarà difficile per chiunque non tenere presente che abbiamo avuto l’esperienza di un governo guidato da una personalità che non era espressione dei partiti rappresentati in parlamento, con importante componente tecnica. Ed è stato un governo che ha fatto bene e che si è guadagnato la stima dei cittadini.
Il nuovo capo dello stato, chiunque sarà, dovrà gestire questa nuova fase, essendo dubbio che le attuali forze politiche siano in grado di rimettere in piedi da sole un sistema non solo fortemente provato da una crisi più che decennale e dall’esperienza della pandemia, ma percorso ancora da una lotta più o meno sotterranea di centri di potere, corporazioni e lobby.
Una parte della classe politica spinge per una rielezione dello stesso Mattarella. Si tratterebbe in sostanza di ripetere quanto si era verificato con Giorgio Napolitano: un paio d’anni di “decantazione” per ritornare poi alla normalità.
Questa soluzione sarebbe del genere “disperata”. Innanzitutto perché stabilirebbe una specie di regola sul prolungamento dell’esperienza, già lunga (7 anni), di ogni inquilino del Quirinale. Soprattutto perché non c’è alcuna ragionevole aspettativa che queste “tregue” servano al sistema per rimettersi in piedi: con Napolitano non è stato così e non certo per sua colpa. Infine perché certificherebbe comunque all’estero l’immagine di un’Italia che non riesce a produrre ricambio, per cui lo stesso Mattarella si troverebbe nella posizione di un presidente molto indebolito.
Questo significa che non è affatto presto per discutere su quale sia la figura necessaria per esercitare i poteri di sostanziale indirizzo (e in parte anche di intervento pur non formalizzato) che ormai sono stati guadagnati dalla Presidenza della Repubblica (che, non lo si dimentichi, è un sistema di staff molto più articolato ed influente del singolo presidente). Non si tratta di perdersi subito a fare nomi e candidature. Anzi è controproducente, perché così si diventa immediatamente preda del gioco a scavalco fra i partiti, proprio quello di cui oggi non c’è assolutamente bisogno.
Il Presidente della Repubblica in una fase di transizione difficile come quella che dovremo affrontare ben che vada per la prima metà del prossimo settennato deve essere una personalità con un carisma forte e riconosciuto che gli consenta sia di traghettare il sistema politico nei marosi di un consenso elettorale ondivago e in continua mutazione, sia di “coprire” autorevolmente il sistema istituzionale (governo centrale, governi locali, varie istituzioni a cominciare dalla magistratura) in modo che non venga fagocitato nelle fibrillazioni e lotte fra le varie componenti, politiche e non.
La convergenza di una larga parte delle forze politiche e anche dei gruppi dirigenti della società civile sulla tipologia e sulla figura che si reputa necessaria in un momento tanto difficile è la premessa indispensabile perché poi si possa giungere ad un largo accordo sulla persona che si reputa migliore per rispondere a queste aspettative. Non che sia un’operazione semplice, perché abbiamo già visto i più diversi personaggi esporsi ciascuno per candidati ipotetici a cui è difficile attribuire le virtù necessarie per adempiere ad un compito così arduo.
Insistiamo che è molto importante capire che è necessario che il futuro inquilino del Quirinale abbia in partenza una forte legittimazione e credibilità presso l’opinione pubblica, cosa non sempre coincidente con quella presso i partiti che lo eleggono. Nel caso di Mattarella si è avuto il miracolo per cui un personaggio che inizialmente era passato per uno “incolore” (qualcuno ricorderà la satira che subito dopo l’elezione ne faceva Crozza), di fronte a crisi e ad emergenze si è guadagnato un credito altissimo (e meritatissimo) presso la gente.
Ma i miracoli in genere non si ripetono ed è comunque meglio agire senza aspettarseli.
(da mentepolitica.it)
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