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Migranti, Cucchi (AVS): 'Io capitano' e' solo prima parte, con Alaji per raccontare cosa avviene dopo

Roma, 16 apr - “Ricordo benissimo il giorno in cui incontrammo Alaji, ricordo benissimo le sensazioni che ho provato, quella rabbia che mi porto ancora dentro: ricordo il suo sguardo, era traumatizzato. Abbiamo visto, penso un po’ tutti il film di cui lui è protagonista suo malgrado, Io Capitano: quel film racconta soltanto la prima parte della storia. Ma le persone non sanno nulla di tutto questo, non sanno della vita, delle storie che ci sono dietro quello che abbiamo appena iniziato a raccontare, e tanto ci sarà ancora da dire”. Così Ilaria Cucchi, senatrice di Alleanza Verdi Sinistra, ospite ieri sera di un evento a Roma nell’ambito della campagna per la revisione del processo di condanna per Alaji Diouf, migrante senegalese che ha scontato 7 anni di carcere con l’accusa di scafismo, un po’ come nella storia raccontata al cinema da Matteo Garrone con il film candidato agli Oscar ‘Io Capitano’. Accusa infondata e condotta senza il rispetto dei diritti basilari dell’accusato, tra cui l’assistenza di un traduttore, secondo i legali dell’associazione Baobab Experience che sta portando avanti l’azione legale. Peggio che finire in carcere, secondo Cucchi, per un migrante c'è solo finire in un centro di permanenza per il rimpatrio: "Sono arrabbiata perché io sto frequentando molto i Cpr, ma tante persone non sanno nemmeno che cosa significhi questa sigla e tanto meno sanno cosa ci sia là dentro – racconta - : persone con l'espressione di Alaji io le vedo ogni volta che entro lì dentro, persone scappate da guerra, miseria, che non parlano la nostra lingua, che non sanno per quale motivo sono rinchiuse in quelle che sono delle vere e proprie gabbie, privati da innocenti di ogni diritto. Alcuni di loro magari sono appena usciti dal carcere: escono dal carcere e magari chiamano le famiglie dicendo: ‘sto uscendo, torno in libertà’: nessuno li avvisa che non è così. E loro ti dicono: ‘io stavo meglio in carcere, perché ci sono delle regole. Invece in quei luoghi vedi il peggio che la nostra società, che si ama definire democratica e civile, sa dare a queste persone”.
(PO / Sis)

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