di Paolo Pagliaro
Tecnicamente ebreo per discendenza materna, battezzato e allevato in un collegio cattolico, sostanzialmente ateo. Un bel pasticcio che Corrado Augias valutò pienamente solo verso il finire dei vent’anni, chiedendosi che cosa fare. Decise di non decidere, anzi rimosse il problema lasciando che le cose scivolassero verso un accomodamento prudente, un tacito compromesso con se stesso. Forse è in quella non-scelta il seme della curiosità che ha accompagnato Augias in tutta la sua vita di personaggio pubblico, giornalista, scrittore, amabile conversatore e che ora viene raccontata in un volume Einaudi. Il titolo è “La vita s’impara” , e si spiega con la convinzione che l’esistenza sia un apprendistato, fatto di amicizie, affetti, rapporti, occasioni, scelte, rinunce.
Fu negli anni della prima formazione che Augias divenne un convinto sionista. Gli era piaciuto il saggio di Theodor Herzl “Lo Stato ebraico” per quel suo richiamo al Risorgimento italiano preso quasi a modello, per la visione laica e generosa del nuovo organismo che proponeva.
Ricorda Augias che i primi pionieri andavano in Palestina per «far fiorire il deserto», animati da ideali progressisti, mentre ora – scrive - si assiste sgomenti al fatto che questo paese unico nel suo genere si sta svuotando degli elementi fondamentali del proprio carattere e della propria unicità.
Nel libro diverse pagine sono dedicate all’attualità italiana. E qui, dovendo proporre una sintesi, ad Augias viene in soccorso l’invettiva di Carducci contro un Paese in cui “uomini e partiti non hanno idee, o per idee si spacciano affocamenti di piccole passioni, urti di piccoli interessi, barbagli di piccoli vantaggi: dove si baratta per genio l’abilità e per abilità qualche cosa di peggio”. Era il 1882, dunque niente di personale.
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