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Emilia-Romagna, disastro frutto dell’insipienza

 Emilia-Romagna, disastro frutto dell’insipienza

di Franco Fregni

“Non era mai successo”. Quante volte in questi ultimi giorni, in questi ultimi anni, abbiamo sentito amministratori e cittadini pronunciare queste parole a proposito delle alluvioni in Emilia-Romagna.

La frase ci rivela che queste terre sono abitate e governate da persone che non conoscono il territorio.

Basterebbe digitare su Wikipedia le voci “Pianura Padana” o ancor meglio “Valle Padusa" per avere un’‘infarinata’. 

La Valle Padana per definizione è pianura “alluvionale”, distinta tra “alta” e “bassa”, dove la “bassa” è stata per millenni regno di paludi, acquitrini e foreste. 

La Valle Padusa è il nome delle zone che in questi anni sono soggette alle alluvioni, anche quelle di queste ore. Per capirci è una palude la cui bonifica sistematica è iniziata nel XV secolo e si è conclusa pochi decenni fa. 

Basterebbe guardare le carte geografiche allegate alle voci Wikipedia per capire come siano stati necessari secoli di incessanti lavori per rendere abitabile una palude. Ma c’è di più: basterebbe avere l’orecchio allenato ad un minimo di toponomastica per capire che Bagnacavallo non sarà una località nota per il clima secco e che a Traversara ci sarà acqua attorno, visto che quel nome significa nucleo abitato che si raggiunge con un ponte… o con una “trave”… e non parliamo delle tante Bagnara…

Quindi per riassumere noi abitiamo in una pianura alluvionale che era un’immensa foresta acquitrinosa con vastissime paludi. Prima i romani hanno bonificato (la famosa “centuriazione” di cui abbiamo mirabili esempi in Romagna) e conquistato alla coltivazione parti di terreno poi con il Medioevo è iniziato un grandissimo processo di conquista di territorio - documentato dalla toponomastica - e di irriggimentazione delle acque. Basti ricordare che fiumi e canali sono stati per secoli le principali vie di collegamento in queste terre e che città e paesi erano città e paesi d’acqua e Venezia, la “Serenissima” era il punto di arrivo e di partenza di questa ragnatela di autostrade d’acqua che erano il retrovia di un dominio sterminato. Tutto è continuato con una serie di bonifiche che rispecchiano la storia d’Italia, decise da Papi, nobili, Re e dittatori come Napoleone e Mussolini. E tutto è scritto nel territorio e nelle carte che lo descrivono: basta saper leggere.

Insomma viviamo in un terreno che è stato letteralmente conquistato “biolca per biolca”, “ettaro per ettaro” all’acqua e che è stato soggetto di cura e manutenzione continua e maniacale. Un terreno che è frutto di sapere, cultura, tradizione, conoscenza della storia (“Fossi e cavedagne benedicon le campagne” è il titolo di un saggio del compianto professor Carlo Poni dell’Alma Mater) e che deve essere abitato e governato da persone che posseggono questo sapere, questa cultura, questa tradizione, altrimenti assisteremo, come succede in questi giorni, alla distruzione del territorio. 

L’opera di secoli viene distrutta da poche ore d’incuria.

Quello che sta succedendo è quindi un disastro soprattutto culturale perché vediamo che queste terre sono abitate e governate da insipienti, che non sanno dove poggiano i piedi. Non è un caso che tutto ciò succeda a valle di un abbandono delle campagne, della cosiddetta “rinaturalizzazione”, della fine di un tessuto sapienziale di coltivatori diretti e di piccoli fondi e della ripresa di un nuovo, modernissimo latifondo di cui pochi hanno conoscenza. Le case dei contadini sono diventate sono villette rustiche e pittoresche, abitate da impiegati del terziario che vanno a lavorare in città con enormi suv inquinanti, oppure sono abitazioni di fortuna per migranti che mandano avanti fabbriche e imprese edili e girano su scassati furgoncini, ancora più inquinanti. 

E non se ne può più di ascoltare lamentele di industriali e amministratori che costruiscono zone produttive in quelli che erano acquitrini, per forza prima o poi l’acqua tornerà dove è sempre stata se non si lavora quotidianamente alla sua irrigimentazione, ma questo costa e si costruisce in zone che costano meno con questi “splendidi” risultati.

“Non si puliscono più i fossi” non è un luogo comune: bastano due gocce d’acqua per vedere situazioni di crisi idraulica, perché la moderna impresa agricola totalmente meccanizzata non ha tempo per queste ‘bazzecole’, che sarebbero dovute di legge.

E quindi “non era mai successo” è una balla, una panzana, una frase frutto d’insipenza: è sempre successo e sempre succederà. Gli ultimi anni sono un soffio in una storia di millenni. Non era successo quando i nostri avi e i nostri nonni coltivavano e custodivano con amore e sapienza la terra. 

Per scherzare si potrebbe dire “meno smartphone e più badili” che, visto l’affollarsi di prestanti volontari tutti tesi ad aiutare gli altri, sembra anche divertente.

 

PS. Per dimostrare quanto insipienza degli uomini imperi basta fare l’esempio di Rimini. In questi mesi ed anni Rimini è stata risparmiata da queste alluvioni, anche se non è certamente al sicuro visti i danni della “riminizzazione”. La parziale salvezza è merito di opere idrauliche realizzate nei decenni passati, ma soprattutto della Conoide alluvionale del fiume Marecchia. Senza entrare in particolari tecnici diremo con semplicità che il Marecchia è anche un fiume “sotterraneo” che sfocia a diversi chilometri nel mare e che è una sorta di spugna che assorbe acqua. Grazie a questo miracolo della natura a Rimini ogni sera d’estate, prima di cena, oltre un milione di persone riesce a fare la doccia, cosa che è impossibile in tante località che avrebbero maggior appeal turistico o che è possibile solo a costi stratosferici. Così è grazie ad un fiume e all’acqua che Rimini è diventata capitale del turismo, non certo per il genius loci dei suoi abitanti...

(© 9Colonne - citare la fonte)