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GRILLO NELLA SALA DELLA PALLACORDA

GRILLO NELLA SALA DELLA PALLACORDA

di Peppino Perrotta

Ho la affascinante sensazione di vivere l’inizio di una rivoluzione epocale delle dimensioni di quella francese e sovietica. Le rivoluzioni hanno al contempo del fascinoso e del pauroso per quanto di drammaticamente violento sono destinate a portare con loro. Io per fortuna vedo solo l’aspetto affascinante perché, avendo ormai vissuto la vita, traumi futuri, seppur dovessero riguardarmi, peseranno poco.



Si tratta dicevo di una sensazione, ma è talmente forte da indurmi a ragionarci sopra per capire se ci sono i presupposti per tradurla in un convincimento logico. È sensato paragonare il successo elettorale del grillismo alla presa della Bastiglia o all’ammutinamento della corazzata Potemkin? È questa performance di un guitto illuminato, supportato da un manipolatore della rete, l’inizio della fine della dittatura della finanza e della finta democrazia quanto meno in Europa? Intendiamoci, il mio gusto speculativo non è sostenuto dalla speranza che le generazioni future siano destinate per il successo di questa rivoluzione a vivere in un mondo migliore, perché la storia mi insegna che le rivoluzioni innescate da moti popolari, seppur riescono a distruggere le strutture oppressive alle quali la gente si ribella, sono fiammate destinate a spegnersi presto con il sorgere di altri costrutti gerarchici dei quali il genere umano sembra proprio non sapere fare a meno. Me lo hanno insegnato Napoleone e Stalin, solo per rifarmi ai più clamorosi eventi dell’era moderna. Pur avvilito da questo pessimismo storico, la speranza di potermi confermare spettatore di un fenomeno epocale simile, mutatis mutandis, a quello che sfarinò gli Stati Generali per trasferire il potere nella sala della Pallacorda, mi induce a infilarmi con tutte le scarpe nel mare di un ragionamento.



Parto quindi dalle dovute considerazioni sul contesto storico-geografico nel quale vive il fenomeno che la mia sensazione mi fa ipotizzare si stia realizzando, cioè dall’Europa di Maastricht. Le ragioni della crisi nella quale essa si dibatte sono tanto chiare quanto impietose. Un continente con la più alta età media e la più bassa competitività commerciale, fermo alla metà del guado, tra le vecchie sovranità nazionali e l’auspicata unione politica. Il suo male peggiore è proprio l’inesistenza di un potere politico che bilanci quello finanziario. Esso ha preso il controllo delle operazioni imponendosi ai governi con la disumana e miope logica di tutti gli strozzini. Sembra l’esagerazione di un estremista, ma a ben vedere è questa la sostanza delle cose. La gravità della crisi sta proprio in questa logica: lo strozzino per definizione si disinteressa della sorte del debitore, lo spolpa fin che può poi lo abbandona, andando a fare affari con qualcun altro. Il danaro sa spostarsi rapidamente da un continente all’altro, mentre la gente, al contrario, è costretta per gran parte a restare lì dove ha le sue radici.



Per combattere questa logica si dovrebbe riuscire a generare rapidamente un potere politico continentale, o tornare altrettanto rapidamente alla forza di quelli nazionali. Certo si uscirà da questo guado, ma ciò avverrà, sembra proprio, passando attraverso un processo rivoluzionario. Oggi ciò appare chiaro perché il malcontento ha scoperto il tallone d’Achille del potere finanziario europeo. Qual’è la sua debolezza? Il potere finanziario dove può strizza i suoi clienti/debitori facendo se del caso fronte alle ribellioni dei renitenti con una dittatura. In Europa, però, alla forza che gli deriva dall’inesistenza del potere politico (in America Obama è un osso duro) si contrappone l’esistenza di un’abitudine democratica, o forse solo pseudo democratica, che gli impedisce di superare certi confini. Una dittatura formale in Italia, in Spagna o in Francia sarebbe per ciò stesso la fine di una unione europea basata su principi democratici, e quindi del potere della finanza sugli stati debitori. Le strutture democratiche, per quanto formali imperfette e slabbrate, sono il tallone d’Achille dello strozzino, e gli oppressi sembrano proprio averlo scoperto.



Cos’è successo con la vittoria del grillismo alle elezioni, e perché mi viene insistentemente in mente di paragonarla alla presa della Bastiglia? È da tempo che in Italia, in Spagna e in Francia, che sono il cuore latino dell’Europa, si va manifestando la ribellione degli oppressi. Studenti, girotondini, indignados, no tav, quelli che nel maggio francese cantavano “ce n’est qu’un debut continuons le combat” sono stati fuochi di paglia, rivolte abortite da un lato perché troppo deboli per vincere con una vera violenza, dall’altro incapaci di trovare uno sbocco politico. Qual è la novità rivoluzionaria del grillismo? L’idea di Grillo, o forse più di Casaleggio, non è stata tanto quella pur forte di usare in modo organico la rete, quanto quella di puntare a occupare il parlamento, perché in Europa il potere finanziario non può mandare un dittatore a impedire l’ingresso dei rivoluzionari nelle assemblee nazionali. Tutto qui, ma è una svolta epocale. È facile prevedere che la vittoria del grillismo in Italia provochi rapidamente il contagio di azioni analoghe, basate sulle masse disoccupate, sui giovani senza lavoro e sui delusi dalla destra ladrona, sia francesi che spagnoli. L’Europa finanziaria ha reagito alla ribellione greca imponendo una cura da cavallo con la logica che, se pur essa avesse condotto alla morte della democrazia, si poteva cacciar via la Grecia dall’Europa lasciando in piedi il resto. Lo stesso rischio non si può correre con l’Italia, la Francia e la Spagna.



Questo ragionamento mi pare dimostri che la mia non è solo una sensazione.

La difficoltà di prevedere quel che accadrà e che deriva da quei mille bivi che la storia si trova davanti in ogni momento, e che la portano chissà dove a dispetto dei futurologi, mi induce a fermarmi qui, mettermi alla finestra per guardare la partita. Siamo, infatti, per tornare al paragone storico oggi ancora nella piazza della Bastiglia, tra una folla incredula che sia stato possibile portare a termine quest’impresa, ma che assai presto prenderà coscienza che, se così è, si potrà assaltare Versailles e costringere perfino il re a mettersi il berretto frigio. Che farà la nostra folla? I primi anni della rivoluzione francese sono stati un laboratorio nel quale si è cercato in mille modi di trovare un nuovo equilibrio che rispettasse quei principi di libertà, eguaglianza e fraternità che somigliano tanto alle parole d’ordine di Grillo. Sappiamo a posteriori che è finita prima con il terrore, poi con Napoleone. Se vogliamo timidamente azzardare una previsione dal momento che i termini temporali sono molto brevi, possiamo scommettere che Bersani o chi per lui sia sul punto di indossare il suo berretto frigio.

Dall’altra parte della barricata, sempre per restare in metafora, il potere costituito è ancora tutto lì. Non ha capito bene ciò che sta accadendo e si divide tra chi pensa che la folla ha conquistato solo un vecchio inutile carcere, e chi si sente più insicuro perché la gente era tanta e incontenibile. C’è anche chi comincia a fare i bagagli per cambiare aria con tutti i suoi soldi, per non fare la fine di quelli meno attenti, re compreso, che rimarranno intrappolati dal momento che la storia ha il vizio di cambiare improvvisamente velocità.



Come reagiranno i nostri strozzini? Qualcuno sta tirando fuori idee che potevano gettare acqua sul fuoco quando ancora la nostra Bastiglia, che è questo boom elettorale, non era caduta, ma che oggi sono solo pezze calde. Altri si preparano ad andarsene e hanno il vantaggio rispetto ai loro colleghi di allora che è più facile portare fuori i soldi e costruire fabbriche in Cina. Questi sperano di poter tornare quando la confusione e la fame avranno convinto gli idealisti che è meglio avere un padrone. I francesi di allora resistettero affamati e vinsero la loro battaglia con un esercito di straccioni che cantava la Marsigliese. Anche qui però bisogna ricordarsi che ripudiando il vecchio padrone finirono per costruirsene uno in casa, sia loro che i bolscevici. Ma come ho detto la storia è troppo piena di bivi per immaginare solo lontanamente quello che accadrà. (5 mar)

 



(Peppino Perrotta - scrittore)

(© 9Colonne - citare la fonte)