(21 giugno 2018) L’estrema destra italiana non è nuova a dichiarazioni discriminatorie contro rom e sinti (considerati qui per semplicità come un unico gruppo). Certamente però, se a pronunciarle è l’inquilino del Viminale, l’effetto è amplificato e può avere ricadute istituzionali, come hanno già fatto notare varie testate europee. Al di là del presunto censimento su base etnica – non costituzionale e comunque smentito – i riferimenti alle espulsioni e la frase “i rom italiani purtroppo te li devi tenere a casa”, detta dallo stesso ministro dell’Interno, soffiano sul fuoco del pregiudizio su gruppi già tanto discriminati quanto poco conosciuti. In Italia circa lo 0,3% della popolazione è rom e sinti, 180mila persone di cui quasi la metà sono cittadini italiani. Originari dell’India, rom e sinti hanno raggiunto la penisola italiana nel XV secolo e, come ha detto il presidente dell’Associazione 21 luglio Carlo Stasolla all’Ansa, “a volte sono più italiani di tanti nostri concittadini”. Insomma tra italiani, cittadini di altri Paesi Ue, cittadini extra-Ue con regolare permesso di soggiorno, apolidi e rifugiati, il numero di irregolari potenzialmente oggetto di espulsioni è molto basso.
Ma come sono tutelate le minoranze in Italia? Nella penisola ce ne sono molte, divise in 12 diversi gruppi linguistici: circa il 4,5% della popolazione, con diverse tutele legali. L’Italia risulta essere il Paese dell’Europa occidentale con il maggior numero di minoranze riconosciute (legge 482 del 1999), ma tra queste non vi sono rom e sinti. Due difficoltà ne hanno reso difficile il riconoscimento: la mancanza di una concentrazione territoriale e la difficoltà a inquadrarli come minoranza linguistica, in quanto in molti casi la prima lingua utilizzata non è il Romanés, ma l’italiano o altre lingue (aspetto però tipico anche di molte altre minoranze).
Nella passata legislatura Francesco Palermo – direttore dell’Istituto di studi federali comparati all’Eurac di Bolzano – ha guidato la presentazione di un disegno di legge al Senato per “la tutela e le pari opportunità della minoranza rom e sinti”. Proposta che si è subito fermata alla commissione Affari costituzionali, dove l’esame del testo non è mai iniziato.
Il 27 gennaio 2015, invece, in concomitanza con la giornata della memoria per i 500mila rom e sinti uccisi nei campi di concentramento nazisti, il comitato “Se mi riconosci mi rispetti” ha lanciato una raccolta firme per una legge di iniziativa popolare che estendesse le tutele attualmente garantite alle altre minoranze linguistiche anche alla minoranza rom e sinta. Ma anche questo tentativo non ha avuto seguiti. Le istituzioni avevano battuto un colpo nel 2011, quando il Dipartimento per le pari opportunità della presidenza del Consiglio approvò la Strategia nazionale dei rom, sinti e camminanti. Nel complesso, però, in Italia finiscono per prevalere i meri “programmi speciali” e le strategie locali, implementate dai comuni o dalle Regioni, senza una visione nazionale di tutela e valorizzazione.
La strategia nazionale del 2011 sottolineava l’importanza di superare la connotazione esclusivamente “nomadistica” di rom e sinti, che non rispecchia la realtà. Un approccio che faciliterebbe una migliore comprensione di alcune dinamiche sociali, a cominciare da quella abitativa.
Che la situazione reale sia un’altra lo documenta un rapporto su rom e sinti della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, che riconosce – citando fonti del ministero dell’Interno – che “nel nostro Paese le famiglie che ancora viaggiano in carovana sono il 2-3%”, in gran parte gruppi di sinti giostrai e rom Kalderasha.
Le famiglie rom venute in Italia dall’ex Jugoslavia negli anni Novanta a causa delle guerre, ad esempio, erano sedentarizzate. I campi d’altro canto – si legge nello stesso rapporto – sono una peculiarità italiana nel più ampio contesto europeo. In Italia i rom e i sinti in stato di emergenza abitativa sono 26mila (lo 0,04% della popolazione), mentre in 16.400 vivono in 148 campi formali e in 9.600 in insediamenti informali. Cifre che possono essere gestite in modo meno eclatante e più efficace.
Il Paese europeo che ospita più rom e sinti è la Spagna, che ne conta 650mila (l’1,6%), seguita dalla Romania con 620mila (3,3%), dalla Francia con 500mila, (0,8%) e dalla Bulgaria con 370mila (4,7%). Per molti Paesi, così come per l’Italia, i numeri sono indicativi, sia perché dove non c’è una tutela legislativa delle minoranze non vi sono censimenti specifici – bensì generali, dell’intera popolazione del Paese – sia per la reticenza di alcuni a definirsi appartenenti a gruppi fortemente stigmatizzati. Venendo al quadro normativo, alcuni Paesi come Cipro e l’Olanda non contemplano misure specifiche poiché considerano rom e sinti a tutti gli effetti parte della comunità. Altri, come la Germania, la Romania e la Svizzera, hanno strumenti di tutela solo per chi ha la cittadinanza.
L’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell’Osce ha preso provvedimenti sul tema già a partire dagli anni Novanta: i suoi non sono atti giuridici vincolanti, ma sono la rappresentazione di un impegno politico degli Stati membri. Il Consiglio d’Europa, più d’ogni altra organizzazione, tutela i diritti e i bisogni delle minoranze: dalla Convezione europea dei diritti dell’uomo alle molteplici attività promosse dalla sua Divisione Roma and Travellers dedicata alle minoranze.
L’Unione europea opera a più livelli, dal quadro giuridico generale agli strumenti e progetti ad hoc per combattere le discriminazioni verso rom e sinti. Vanno ricordate in particolare la Cornice comunitaria per le strategie di integrazione nazionale dei rom approvata nel 2011 e la rete EURoma.
Quali politiche potrebbero essere concretamente avviate in futuro per migliorare le condizioni di vita di tanti rom e sinti? Francesco Palermo di Eurac vede due priorità: “Sul piano legislativo, il riconoscimento di rom e sinti come minoranze linguistiche, perché questo consentirebbe politiche promozionali specifiche; in secondo luogo, l’emanazione di leggi regionali su materie specifiche e di competenza, appunto, delle Regioni: edilizia abitativa, formazione professionale, sanità”. Un modello da seguire ci sarebbe: “Il caso spagnolo è interessante. I rom in Spagna sono molti di più che in Italia, e sono riconosciuti come minoranza. A Madrid c’era una situazione analoga a quella di Roma, con campi in condizioni disumane e in buona parte illegali. Dal 2010, in tre anni, la questione è stata risolta, senza spendere un euro in più ma distribuendo le persone tra appartamenti e micro-aree attrezzate a scelta degli interessati”.
Alternative costruttive e modelli europei non mancherebbero, quindi, ma il momento politico non sembra il più favorevole. Non va però dimenticato che l’ostacolo più alto per il pieno rispetto e l’integrazione di rom e sinti è il pregiudizio trasversale presente in Italia. La paura della diversità congela la volontà politica, come ci ricorda lo stesso Palermo: “chi tocca il tema dei rom decreta la sua fine politica, a meno di non toccarlo con i toni che sta usando ora Salvini”.
(da affarinternazionali.it)