(8 ottobre 2020) Probabilmente finirà in nulla, come tante altre iniziative del genere. Ci riferiamo alla bozza del disegno di legge costituzionale predisposta dal PD e presentata con una certa solennità la settimana scorsa per poi finire subito nel disinteresse generale. Era il mantenimento della promessa di affiancare il sì al referendum grillino con una proposta di sistemazione di alcune debolezze del nostro sistema parlamentare.
Anche se finirà parcheggiata nei cassetti dei progetti di legge senza sviluppo, visto che al momento nessun partito l’ha degnata di attenzione (poca anche dal PD), la proposta elaborata dal gruppo composto dai parlamentari Ceccanti e Parrini nonché da Luciano Violante e con un contributo esterno del prof. Enzo Cheli merita di essere presa in considerazione perché se fosse approvata rimodellerebbe notevolmente il nostro sistema costituzionale.
Intendiamoci: non c’è nessuna vera rivoluzione, ma solo una razionalizzazione meditata dei nodi che sono presenti nel nostro sistema attuale. Partiamo da un dato che è stato molto pubblicizzato, ma in modo approssimativo: non c’è una vera sistemazione del problema del bicameralismo, ma semplicemente il passaggio ad un monocameralismo articolato.
Al contrario di quanto speravano una parte almeno dei nostri costituenti, non abbiamo mai veramente avuto due Camere che rappresentassero due filiere diverse di estrazione della rappresentanza in modo che le leggi venissero esaminate partendo da due diverse ottiche. Si è sempre trattato di due Camere più o meno fotocopia, che però con il venir meno del controllo dei partiti nazionali sull’elettorato avevano iniziato a dare problemi di disomogeneità sul piano politico: il governo poteva avere la fiducia dei deputati ed essere battuto dai senatori (raramente viceversa). La riforma risolve il problema in maniera semplicistica. Camera e Senato vengono eletti sostanzialmente con le stesse modalità e dallo stesso elettorato, ma poi nell’esercitare i veri poteri politici, cioè dare o negare la fiducia ai governi, nonché intervenire su provvedimenti chiave come la legge di bilancio, operano in seduta comune. Se non è monocameralismo questo …
Poi certo si dividono un po’ di competenze diversificate evitando le navette inutili. Si introduce il potere della Camera dei deputati di avere l’ultima parola nel caso di contrasti sulla formulazione delle leggi (salvo casi particolari): in sostanza come in Gran Bretagna fra i Comuni e i Lord dopo la famosa riforma del 1911.
Con questa riforma si introduce una forma blanda di cancellierato. Il Presidente del Consiglio infatti entra sempre in carica con la fiducia del parlamento riunito in seduta comune, ma può essere sfiduciato solo con la formula della sfiducia costruttiva, cioè indicando al Presidente della Repubblica la persona che sarà incaricata di formare il nuovo governo. Questi presenterà al Presidente della Repubblica la proposta di nomina dei ministri. Come si può capire con ciò si limita drasticamente il potere arbitrale che dal Quirinale si esercitava con le consultazioni in caso di crisi di governo. E’ vero che il potere di nomina rimane in carico al Presidente, che, secondo alcuni, può anche opporsi ad alcune designazioni come avvenuto di recente in maniera palese col caso del prof. Savona nel Conte 1 (e in vari altri casi in maniera meno pubblica), ma questa volta, visto che tutto sommato si tratterebbe di un premier con una sorta di pre-fiducia parlamentare, c’è da immaginare un conflitto di poteri che potrebbe non essere agevole da comporre.
Sempre nell’ottica di rafforzare il premier-cancelliere gli viene dato anche il potere di proporre al Presidente della Repubblica di revocare dei ministri. Anche qui, al netto del potere di verifica del Quirinale, che però non ci sembra agevole da esercitare, siamo nell’ottica di rendere il premier (questo termine che oggi è costituzionalmente inesatto, di fatto con questa riforma diventerebbe appropriato) maggiormente capace di inserirsi nelle debolezze interne dei partiti della sua coalizione. In più è espressamente previsto che la bocciatura di proposte legislative del governo non comporti più la sfiducia, per la quale ci vuole una apposita mozione, oppure deve essere il governo a porre su un provvedimento la questione di fiducia. In questo caso se il governo viene battuto il premier si dimette, ma qui c’è un buco, perché in questo caso non ci sarebbe sfiducia costruttiva e quindi che succede? Si torna al potere di designazione del Presidente della Repubblica dopo il tradizionale rito delle consultazioni? Peraltro la stessa osservazione si può fare nel caso di nomina del primo governo dopo le elezioni, visto che in questo caso non c’è alcuna pre-indicazione parlamentare. Forse che si pensa di risolvere il problema inserendo nella legge elettorale l’indicazione del premier? (difficile però con un sistema di tipo proporzionale …).
Una norma che è veramente rivoluzionaria è l’art. 10 del progetto che prevede che il Presidente della Repubblica possa sciogliere un Consiglio regionale e rimuovere il presidente della Giunta per “atti contrari alla Costituzione o per gravi violazioni di legge”. Come si può immaginare l’utilizzo di una norma del genere lascia intravvedere scenari catastrofici e scontri che avrebbero ripercussioni pesanti sulla stabilità del paese. Forse gli estensori pensavano a quanto avvenuto in Catalogna, ma in quel caso non è finita benissimo.
Naturalmente lo spazio di questo intervento non ci concede analisi di dettaglio che sarebbero necessarie. Chiudiamo solo dicendo che l’inserzione nel Senato di 21 membri espressi da ciascuna dalle 19 regioni e dalle due province autonome non ci sembra sufficiente a razionalizzare il para-federalismo caotico che abbiamo visto crescere in continuazione fino alla sua esplosione con le vicende della pandemia. Da un lato sarà un passo avanti rispetto alla conferenza stato regioni (ammesso che poi questa venga quantomeno ridimensionata), dall’altro non ci sembra sufficiente per ricondurre nell’ambito di una buona dialettica rappresentativa lo sviluppo che hanno avuto i poteri regionali.
Insomma si tratta di un disegno molto articolato e molto interessante di stabilizzazione in una certa direzione del quadro politico italiano. Certamente supporrebbe un paese molto maturo sul piano dell’esercizio dei poteri e del rispetto dei bilanciamenti. Non ci sembra però, purtroppo, ancora il caso dell’Italia, mentre vediamo che altri paesi che un tempo passavano come modelli per la tenuta di questi bilanciamenti, come gli USA e la Gran Bretagna, vedono oggi messe quantomeno in crisi le loro acquisizioni costituzionali.
(da mentepolitica.it )