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Il cigno nero
del conflitto digitale

Il cigno nero <br> del conflitto digitale

di Michele Mezza

Un cigno nero nel cigno nero della pandemia.  Se davvero come diceva Lenin ci sono mesi in cui non accade nulla e settimane in cui accadono decenni, queste che stiamo vivendo sembrano davvero secoli. Il Virus ha accelerato processi che erano sottesi nella società digitale, ma gli ha dato una direzione che forse non era del tutto compresa prima del contagio.
Dopo la prima fase di grande spolvero  dei centri tecnologici globali, che proprio nei mesi del primo impatto dell’epidemia in  primavera, avevano registrato performance stellari delle proprie quotazioni che hanno superato o comunque avvicinato quota duemila miliardi di dollari, determinando, come nel caso delle app di tracciamento anti virus, tipo Immuni, norme di comportamento a cui gli stati si sono dovuti piegare, il circuito della Silicon Valley si trova ora sotto tiro. Persino in Cina, dove tutto sembrava sotto controllo dell’occhiuto apparato del partito comunista, la scomparsa di Jack Ma , il patron di Alibaba, le cui fortune personali sono calcolate in decine di miliardi, testimonia del momento critico che vivono questi signori degli algoritmi nell’impero di Xi Ji Ping.
Contrariamente al solito regolamento di conti di regime, con cui il partito periodicamente ridimensiona chi tende ad allargare eccessivamente la sua sfera di influenza, questa volta si assiste ad una svolta che investe tutta la società. Il governo cinese lancia un’offensiva politico e sociale prima che ideologica in cui sembra rivolgersi al mondo oltre che al paese, per dare un esempio. Le compagnie tecnologiche non solo sono chiamate a pagare più tasse, e già  questo è un segnale che chiama tutti ad uno sforzo di serietà,  perché, come scrivono gli organi di stampa governativi, è ora di “ridistribuire i profitti accumulato a spese del popolo”.
Ma  ci si concentra proprio sull’origine dell’asimmetria che si crea nel mondo digitale, a tutte le latitudini, fra le piattaforme e gli utenti, e si  si cerca una strada per condividere la fonte del potere di questi iper-stati quali sono le grandi aziende  del calcolo.
Da una parte si impone una normativa per disciplinare l’uso dei dati. Un tema scabroso in un paese in cui gli apparati statali scannerizzano i volti di tutti i cittadini per controllarne i movimenti. Ma questa volta  pare che non si vogliano usare cautele e prudenze di regime, affrontando proprio la questione del monopolio delle informazioni che profilano tutti gli utenti. I dati, affermano i dirigenti cinesi senza ombra d ‘imbarazzo, sono  “un nuovo tipo di bene di proprietà statale i cui diritti appartengono allo stato”, e fin qui non ci sarebbe nulla di nuovo.  Mentre qualcosa di veramente inedito si coglie nello sforzo di un paese totalitario di introdurre una dialettica di poteri nel cuore del sistema digitale, abilitando le città a controllare e condividere il mercato dei big data delle compagnie private.
Schenzen, la megalopoli tecnologica del paese, si è infatti dotata di un regolamento, che sembra non molto dissimile da quello di Copenaghen o di Barcellona, in cui la municipalità potrà controllare e rendere tracciabili tutti i dati dei suoi abitanti che transitano su piattaforme private, condividendoli, questa è la più clamorosa novità, appunto con i cittadini.
Si crea così un asse con l’Europa che sta proprio in queste settimane elaborando due provvedimenti DSA (Digital social Act) e DMA (Digital market Act) che vanno esattamente nella stessa direzione, ovviamente in contesti e con valori meno ambigui di quelli cinesi. L’obbiettivo declamato dalla commissaria alla concorrenza Vestager è quello di rendere trasparenti, condivisibili e negoziabili dati e algoritmi dei monopolisti della rete. Una convergenza che potrebbe spingere anche gli USA, sotto la presidenza Biden, ad un approccio meno garantista per la proprietà delle grandi corporations, e introdurre una dinamica più aperta e soprattutto più incentivante per l’innovazione stessa, che appare del tutto frenata dalle rendite di posizioni degli incunbent sul mercato.
Il motore di questa nuova strategia più che il ruolo normativo statale diventa invece proprio la relazione diretta fra utenti e piattaforme. Il processo di riorganizzazione delle relazioni economiche, sociali, abbiamo visto anche sanitarie nella pandemia, attorno alla modalità della piattaforma, tanto da far parlare gli esperti del settore di una “piattaformizzazione del mondo “, pone il nodo dell’eccesso di potere da parte dei sistemi digitali in maniera ormai non eludibile.
Le polemiche sulle censure a Trump di questi giorni hanno dato la stura ad un dibattito più strutturato del solito. Al di là del consueto Il ping pong fra libertari, che si trovano poi inevitabilmente sempre sotto l’ala protettiva dei monopolisti della rete, che darebbero più garanzie rispetto alle minacce del leviatano statale, e statalisti che vorrebbero riportare tutto nelle braccia di un’amministrazione pubblica onniscente, ha preso forma una terza via potremmo dire, se non fossimo scaramantici, in cui si mette in campo  la funzione negoziale e di controllo permanente della componente comunitaria, del pubblico come associazione di utenti e non come apparato verticale statale.
Questa terza via guarda oltre la contingenza e si pone il problema di quale sia l’approdo di questa corsa all’automatizzazione sociale. Come ha scritto Chris Anderson, il mitico direttore di Wired, l’intelligenza artificiale “stacca la decisione dal soggetto”. Si crea uno spazio terzo fra soggetto umano e natura in cui opera una volontà indotta sempre da alcuni di questi soggetti, i proprietari del sistema, ma con larghi margini di autonomia. E’ questo il tema che dobbiamo oggi affrontare, al di là delle patologia delle deviazioni di Google e Facebook. Il buco nero, come dice Paolo Zellini, uno dei più lucidi matematici italiani nel suo saggio “La Dittatura del calcolo” (Adelphi editore) “l’algoritmo, di chiunque sia ha sempre una natura intimamente autoritaria e opaca”.  
Se, come è nelle previsioni, e anche per l’effetto che la pandemia sta generando nelle nostre relazioni, andiamo incontro ad una società sempre più intermediata da algoritmi allora la domanda è :come civilizzare questa epoca in cui , appunto , le decisioni si autonomizzano dai decisori  ?  La politica deve rispondere a questo quesito, così come rispose all’inizio del secolo scorso  alla torsione che l’industrializzazione fordista imponeva alla convivenza sociale. Il conflitto fu il linguaggio che spinse le parti della produzione a trovare un compromesso civile con il welfare. Un conflitto che intervenne esattamente nel cuore del processo produttivo, modificando stili, modalità, culture e valori della produzione intensiva. Oggi abbiamo dinanzi un gradino simile, un mondo in cui le piattaforma, scrive Shoshanna Zuboff nel suo fortunatissimo tomo “ll capitalismo della sorveglianza” ( Luiss editore) ci esiliano nella nostra esperienza, chiudendoci in bolle autoreferenziali dove i dati di profilazione concentrano i poteri decisionali nelle poche mani dei calcolanti lasciando ampie schiere di calcolati senza parola.
Le indicazioni che filtrano dall’Unione Europea, le esperienza di alcune grandi città occidentali, perfino i timidi tentativi di eccitare forme di contrattazione   dei data base in Cina indicano che qualcosa rapidamente sta maturando. Qualcosa che deve correre.
Alla fine del prossimo febbraio tutti i servizi pubblici italiani dovranno avere per legge una versione digitale. E’ essenziale definire procedure e esperienze per dare ai cittadini la possibilità di indagare le soluzioni digitali adottate dagli apparati statali: quali data base, quali server, quali algoritmi? Sono domande a cui bisogna che lo stato sappia come rispondere per poi imporre anche al mercato la stessa dialettica. 

 

Michele Mezza, giornalista per quarant’anni in Rai, dove è stato inviato all’estero, in particolare nell’Urss di Gorbačëv e nella Cina di Tienanmen. Successivamente, come responsabile di progetti tecnologici, ha partecipato alla riorganizzazione dei Gr. Ha ideato e sviluppato il progetto RaiNews24. Insegna ora alla Federico II di Napoli, ed è parte del gruppo di lavoro dell’Ordine dei giornalisti sull’automatizzazione della professione. È autore di numerose pubblicazioni, fra cui, per Donzelli: Avevamo la luna (2013) e Algoritmi di libertà (2018).

20 gennaio 2021

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