Luigi abita a Campofilone, un antico borgo in provincia di Fermo, nelle Marche. Il primo maggio ha compiuto cento anni. Ama raccontarsi e parlare della gioventù, delle avventure in guerra, di come si viveva una volta, del lavoro nei campi “mai faticoso perché non c’è fatica se le cose le fai con passione”.
Luigi, detto Giggio de Rucchì perché un suo antenato portava l’orecchino (“ma io no, non l’ho mai messo!”), è emozionato quando parla dell’incontro con la donna che sarebbe diventata sua moglie e che è andata via qualche anno fa. Ha gli occhi lucidi quando ricorda di quella volta in cui le chiese: “Vuoi condividere la tua vita con me?”. Sì, condividere e non vivere. O passare. Perché insieme hanno diviso davvero tutto. Quasi settanta anni di gioie e dolori, sudore e sorrisi: “Quante volte abbiamo seminato il grano insieme…”.
Tra paure (la pleurite da giovanissimo), difficoltà o come dice lui “intoppi” (“quando ero militare pensavano che avessi il tifo”) e gioie (una famiglia unita, tre figlie attentissime e tre affezionatissimi nipoti) Luigi oggi guarda al futuro con speranza: “Bisogna avere molta fiducia e pregare”.
Certo anche lui ha avuto paura del Covid ma oggi, dopo aver ricevuto la seconda dose del vaccino, è più sereno. È sincero, però, quando ammette di essere “stufo” del virus: “La pandemia - dice - ha cambiato i piani”.
Luigi vede poco ma sente bene, ha le mani grandi e non troppe rughe. Non ha mai perso l’ironia. Ha sempre amato la storia e la geografia. Capita ogni tanto che faccia domande del tipo: “Ma tu lo sai dove è stato esiliato Napoleone? E di preciso sai dove si trova Sant’Elena?”.
Fino a qualche anno fa Giggio – come lo chiamano in tanti - giocava a carte. Difficile batterlo a briscola. Prima della pandemia casa sua era un via vai di amici e parenti ma guai a disturbarlo nell’ora della preghiera.
La sua giornata oggi è scandita da riti puntuali. Forse in tanti non ci pensano, ma anche a cent’ anni c’è molto da fare. Il pranzo, il riposino, il telegiornale, il rosario. Ha anche quello elettronico e si chiede perché non sia stato ancora aggiornato con la nuova versione del Padre Nostro: “Possibile che ancora non ci abbiano pensato?”.
Il regalo più grande che gli si possa fare è ascoltarlo, perché tanto ha da raccontare: nel suo Paese è un punto di riferimento, la memoria storica. A lui si rivolgono per consigli, suggerimenti, per ricostruire storie legate a famiglie e parentele. Alla domanda “che consiglio si sente oggi di dare ai giovani?” risponde così: “Prendete la vita come viene”.
Luigi è esperienza, saggezza, racconto, memoria. E’ un pezzo di storia: della famiglia, della comunità, del Paese. E nell’anno in cui il Coronavirus ha portato via tanti anziani, tanti nonni, tante persone che avevano ancora da vivere e da raccontare, ascoltarlo è un dono. Un dono che fa bene al cuore.
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