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Maria Barosso, l’artista-archeologa che raccontò la Roma che non c’è più

Ritratti
Una galleria giornalistica di ritratti femminili legati all'Unità d'Italia. Donne protagoniste nell'economia, nelle scienze, nella cultura, nello spettacolo, nelle istituzioni e nell'attualità. Ogni settimana due figure femminili rappresentative della storia politica e culturale italiana passata e presente.

Maria Barosso, l’artista-archeologa che raccontò la Roma che non c’è più

Maria Barosso è una pioniera poco conosciuta dell’archeologia italiana che svolse un ruolo rilevante nella conservazione della memoria visiva della trasformazione di Roma negli anni Trenta del Novecento. Nata a Torino nel 1879 si diplomò presso l’Accademia Albertina, conseguì l'abilitazione e vinse per concorso una cattedra di disegno nelle scuole medie. Nel 1905 si trasferì a Roma con la madre e divenne la prima donna a ricoprire il ruolo di funzionaria presso la Direzione Generale Antichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione. Fu chiamata nella capitale da Giacomo Boni, allora direttore degli scavi del Foro Romano, con cui collaborò coniugando precisione scientifica, accuratezza filologica e sensibilità artistica. La sua carriera di artista e archeologa la ha portata a lavorare anche al fianco dell’architetto Antonio Muñoz, partecipando – unica donna disegnatrice – a importanti cantieri della Soprintendenza di Roma e del Lazio, dove la sua presenza fu un’anomalia tollerata solo grazie all’evidenza del talento e della competenza. Il primo grande scavo cui prese parte fu quello della Chiesa altomedioevale di Santa Maria Antiqua. Con i suoi acquerelli e disegni fissò sulla carta l’aspetto di edifici, monumenti e quartieri destinati a scomparire sotto i colpi delle demolizioni fasciste e delle grandi trasformazioni edilizie e urbanistiche del Ventennio. Nonostante l’importanza del suo lavoro, dopo la morte nel 1960, il suo nome scomparve rapidamente dalla memoria pubblica; l'unica foto di lei che si conosce è quella sulla sua tomba al Verano. Accanto alle committenze istituzionali ricevette incarichi privati prestigiosi, come quello del duca Gelasio Caetani di realizzare acquerelli e disegni nelle sue proprietà del Lazio (il Castello di Sermoneta, le rovine e la Grotta di San Michele Arcangelo a Ninfa, il Palazzo di Bonifacio VIII ad Anagni). «Maria Barosso aveva una formazione molto solida, fortificata all’Accademia Albertina di Torino», spiega la direttrice dei Musei Civici di Roma Capitale Ilaria Miarelli Mariani, «usava la tecnica dell’acquerello in maniera interpretativa, prosegue Miarelli Mariani, ed era anche una virtuosa dell’incisione. Inoltre, era una donna che con il suo lavoro manteneva sé stessa e la madre, senza essersi mai sposata». Due mostre oggi le rendono omaggio a Roma, e consentono di comprendere il valore del suo lavoro. La prima, Maria Barosso, artista e archeologa nella Roma in trasformazione, è stata inaugurata il 17 ottobre e rimarrà aperta al pubblico fino al 22 febbraio alla centrale Montemartini, il secondo polo espositivo dei Musei Capitolini di Roma. Sarà possibile ammirare 137 suoi pezzi fra litografie, disegni, acquerelli, ripercorrendo il lavoro di tutta una vita: dalla villa dei Misteri a Pompei, agli scavi della Basilica di Massenzio e degli Horrea Piperataria, fino all’Area Sacra di largo Argentina e alle demolizioni che, sotto il regime di Mussolini, aprirono lo spazio a via dei Fori Imperiali. Per la prima volta è esposta la rappresentazione del Compitum Acilium, il santuario da lei ritratto quando era ancora integro durante lo sbancamento della collina della Velia. La seconda mostra, Impressioni dal vero. La via Appia e la via Latina nei disegni di Maria Barosso, dal 15 novembre è allestita al complesso Capo di Bove in via Appia antica, dove resterà fino al 12 aprile. Il titolo riprende una dicitura che Barosso usava annotare nei suoi disegni per indicare un modo di lavorare “dal vero”, en plein air. Le tavole documentano il lavoro condotto dall’artista nei cantieri della Chiesa di San Cesareo de Appia e della Basilica paleocristiana di Santo Stefano sulla via Latina. Luana Toniolo, direttrice del parco archeologico, ha ricordato: “è stata la prima donna ad essere seconda e poi prima disegnatrice. In un momento in cui c’era non tantissima fiducia verso la fotografia, il disegno permetteva di conservare tutte le fasi del lavoro di scavo. Molti di questi disegni ci fanno vedere momenti che altrimenti non potremo mai più ricostruire”. (Mag)

(© 9Colonne - citare la fonte)
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