“La donna è come una bustina di tè, non si può dire quanto è forte fino a che non la si mette nell’acqua bollente”. Questa prova sulla quale non doveva avere dubbi Eleanor Roosevelt, first lady e ancor prima personaggio impegnato sul fronte della lotta per i diritti civili e del femminismo, non è stata mai presa in seria considerazione dai politici italiani senza distinzione di colore e di bandiera. Come dire, nel dubbio è meglio lasciare le cose come stanno. E’ un vizio storico che resiste nonostante il gran parlare che si continua a fare sul ruolo delle donne riducendo un diritto naturale alla bizzarra spartizione per la quale è stata inventata l’ancor più bizzarra definizione “quota rosa”. Che regolarmente viene poi trascurata, riproponendo lo scenario di sempre.
Per cui nella Torino del 2021 può accadere che il Pd, dopo una sterile e tediosa discussione di quasi otto mesi, approdi alla conclusione di procedere alla scelta del candidato sindaco ricorrendo alle primarie da tenersi a giugno ovvero poco meno di tre mesi prima dell’andata alle urne. E manco a dirlo a queste primarie fuori tempo massimo e in ritardo notevole –verrebbe da dire irrecuperabile- rispetto al centro destra il cui candidato è stato scelto già da mesi ed è regolarmente in campagna elettorale come confermano le sue foto di cui è tappezzata la città, concorreranno quattro uomini. Dunque, anche per questo giro la sinistra, forza politica che pure sembra essere la più attenta all’altra faccia della luna, resta impigliata nelle maglie delle vecchie abitudini senza neppure provare a salvare le apparenze. Lo fa con l’insensata disinvoltura di chi presume di poter ignorare il presente inchiodandosi a un controcorrente che in altri paesi è stato da tempo abbandonato affidando alle donne ruoli di primaria importanza non solo in politica. E senza neppure ricordare che a Torino, sul finire della tanto maltratatta prima repubblica, due donne hanno occupato la poltrona di primo cittadino, Maria Magnani Noya socialista e Giovanna Cattaneo Incisa, repubblicana.
Ancora una volta dunque si è imposto il maschio politico nella scelta di una sinistra che va oltre il perimetro del Pd comportandosi allo stesso modo sia sul versante estremo militante sia su quello moderato. Ora ammesso che il Covid conceda la tregua sperata permettendo qualche settimana di ferie estive al mare o dove si potrà, tra queste tardive primarie del Pd e il voto ci saranno un paio di mesi durante i quali a quanti avranno voglia di ascoltarlo il candidato della sinistra, che peraltro non si sa se e come potrà dialogare con i resti dei 5Stelle come vorrebbe Enrico Letta, dovrà spiegare le ragioni per cui dovranno votarlo. Un po’poco come tempo per farlo rispetto al tanto tempo dissipato in liti di famiglia. E in più con quel vizio d’origine dell’assenza premeditata delle donne che influenzerà non poco la scelta di un elettorato che, non amando da tempo la vecchia politica non mostrerà certo alcuna simpatia verso una nuova incapace di prendere le distanze dal passato.
Niente da fare. Quos deus perdere vult, dementat prius: proprio così, Dio acceca chi vuole perdere. Il Pd ce la mette tutta nel coltivare questa dissennatezza. “Senza donne, la vita è pura prosa” diceva il grande poeta nicaraguense Ruben Darìo. Se s’include nel concetto di vita anche la politica è del tutto evidente che la poesia resta fuori. E con essa l’immaginazione, la fantasia, la capacità e quella diversità non tanto misteriosa delle donne che una politica di maschi continua a ritenere un accessorio di cui si può fare a meno.