Londra - Quali sono i fattori genetici che influiscono sulla risposta al COVID-19, per cui alcuni pazienti sviluppano malattie gravi e pericolose che richiedono il ricovero in ospedale, mentre altri se la cavano con sintomi lievi o addirittura senza alcun sintomo? Nel marzo 2020, migliaia di scienziati di tutto il mondo hanno unito le forze per rispondere a questa domanda attraverso uno di uno dei più ampi studi di associazione genome-wide mai eseguiti: gli scienziati fanno parte del progetto globale COVID-19 Host Genetics Initiative (COVID-19 HGI) che rappresenta attualmente una delle più estese collaborazioni nel campo della genetica umana, con oltre 3.300 autori e 61 studi di 25 paesi, che è guidato da Andrea Ganna e Mark Daly, dell’Institute of Molecular Medicine of Finland (FIMM), Università di Helsinki. Del consorzio fa parte anche il gruppo di studio Fondazione COVID-19 Genomic Study (FOGS) presso la Fondazione IRCCS Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Università degli Studi di Milano, coordinato da Luca Valenti, docente di Medicina Interna alla Statale e medico del centro trasfusionale del Policlinico. Il risultato, pubblicato di recente su “Nature”, ha indentificato 13 loci, ossia posizioni nel genoma umano, strettamente associati a infezione o COVID-19 grave oltre a fattori causali come il fumo e un indice di massa corporea elevato. Il consorzio ha raccolto dati clinici e genetici sui quasi 50.000 pazienti oggetto dello studio risultati positivi al virus e su 2 milioni di soggetti di controllo. Dei 13 loci identificati sinora dagli scienziati, due erano più frequenti tra i pazienti originari dell'Asia orientale o meridionale che in quelli di origine europea, a conferma dell'importanza della diversificazione degli insiemi di dati genetici. (9colonne)
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