Londra - Non solo salute umana ed ecosistemi terrestri e marini. Il buco dell’ozono influisce anche sui processi chimici ambientali del Polo Sud. A dimostrarlo un team di ricerca internazionale coordinato dall’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp) e dell’Università Ca’ Foscari Venezia che ha studiato per la prima volta le conseguenze della riduzione dell’ozono sullo iodio intrappolato nel ghiaccio antartico. I risultati dello studio, al quale hanno preso parte anche ricercatori del Paul Scherrer Institut (PSI, Svizzera), Institute for Interdisciplinary Science (Icb-Conicet, Argentina), Institute of Physical Chemistry Rocasolano (Csic, Spagna), Korea Polar Research Institute (Corea del Sud), National Center for Atmospheric Research (Stati Uniti) e Università di Roma 3, sono pubblicati sulla rivista “Nature Communications”. In Antartide, i ricercatori hanno estratto una carota di ghiaccio di circa 12 metri di lunghezza nei pressi della stazione di ricerca internazionale Concordia con l’obiettivo di analizzare chimicamente l’evoluzione temporale dello iodio in un periodo di circa 200 anni (dal 1800 al 2012). Per valutare ed interpretare l’andamento della concentrazione di iodio nella carota di ghiaccio, i ricercatori hanno impiegato un approccio multidisciplinare che, oltre ad analisi chimiche, ha incluso modelli atmosferici e chimico-fisici. “Abbiamo riscontrato concentrazioni pressoché costanti di iodio dal 1800 al 1974, per poi trovare una netta e significativa riduzione dal 1975 al 2012. La nostra ricerca dimostra che la riduzione della concentrazione di iodio e la sua conseguente emissione in atmosfera in quest’ultimo arco temporale, è imputabile alla riduzione della concentrazione dell’ozono stratosferico, quindi all’aumento della radiazione UV che raggiunge la superficie dell’Antartide”, spiega Andrea Spolaor, ricercatore Cnr-Isp e primo autore del lavoro. (9colonne)
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