Londra - È possibile predire il rischio di gravi complicazioni neonatali nei bimbi nati dopo ipossia intrapartum? Questa la domanda all’origine di uno studio condotto dal gruppo di ricerca della Clinica ostetrica dell’Università di Parma, con il coordinamento di Tullio Ghi, docente di Ginecologia e Ostetricia. Utilizzando un approccio innovativo nell’analisi dei tracciati del cuore fetale registrati in sala parto, è stato dimostrato che se il feto giunge al parto in condizioni di buona ossigenazione ha la capacità di tollerare molto bene un’eventuale ipossia del travaglio di parto, e pur se presenta acidosi metabolica alla nascita il rischio di danni cerebrali o di morte è molto basso. Viceversa, il bimbo nato con ipossia e acidosi sul cordone che presentava sul tracciato di ammissione al travaglio dei segnali di ridotta ossigenazione ha una probabilità molto più alta di andare incontro a gravi complicazioni dopo la nascita. Questo studio rappresenta un importante passo avanti nella comprensione dei meccanismi responsabili della tolleranza del feto alla grave ipossia intrapartum, un’evenienza che si realizza in circa 2 parti su 1000 e che può essere responsabile della morte o della paralisi cerebrale infantile. Lo studio è stato pubblicato sulla più importante rivista internazionale di Ostetricia (“BJOG: An International Journal of Obstetrics and Gynaecology”). (9colonne)
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