Il premier Draghi ha schierato con chiarezza l’Italia sul crinale che sta dividendo il mondo dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Non ha neppure preso in considerazione una nostra vecchia tendenza a illuderci che si possa fare i neutrali: siamo abbastanza vecchi da ricordarci lo sciocco slogan “né con lo Stato, né con le BR” e abbiamo dovuto rivederne una specie di revival con la proposta circolata in questi giorni di non stare né con Putin né con la Nato.
Questa illusione di poter restare al di fuori e al di sopra degli eventi della storia appartiene ad una carenza culturale che da un lato crede ad una centralità del nostro Paese inesistente se non nei sogni della nostra mitologia nazionalistica e che dall’altro si culla nell’utopia di considerarsi il censore universale deputato ad insegnare a tutti cosa sia il bene e cosa sia il male.
Nella realtà ogni nazione fa parte di un sistema di relazioni storiche e si misura con la realtà della propria situazione all’interno di questo.
Per ragionare in termini semplici l’Italia è oggi un pezzo del sistema europeo in cui sta gravata da una situazione economica poco brillante e da una situazione politica con un equilibrio a dir poco precario. Per il nostro paese rompere con il cuore nevralgico dell’Unione Europea comporterebbe un rischio difficilmente sostenibile: o qualcuno pensa che nostre alzate d’ingegno nella delicatissima fase attuale non avrebbero ricadute sull’accesso ai fondi europei che sostengono il PNRR? Proviamo a considerare un altro piccolo elemento (si fa per dire): il nostro enorme debito pubblico potrebbe reggere se perdessimo le garanzie internazionali che di fatto ci consentono non solo di sostenerlo, ma persino di pensare continuamente a “scostamenti” nei nostri bilanci?
La situazione internazionale è indubbiamente ad un livello di criticità molto alto, tanto che sia pure sottovoce ci si interroga se non siamo sull’orlo di una terza guerra mondiale. Magari non sarà quella immaginata dall’olocausto atomico (ce lo auguriamo tutti), ma qualcosa di sconvolgente è abbastanza probabile. Non sappiamo ovviamente se così sarà nel giro di pochi giorni o mesi, visto che la posizione russa non ispira pensieri ottimistici, ma anche se la situazione potesse essere rappattumata in qualche modo è da aspettarsi che non sarebbe più di una tregua nella competizione globale che si è avviata e che dunque lo scontro per l’affermazione di un nuovo ordine internazionale continuerebbe fino a riprendere in modo radicale.
Come può muoversi l’Italia in questo quadro? Non c’è dubbio che essa si porti sulle spalle molte debolezze strutturali. Già la nostra dipendenza dal gas russo è una pesante palla al piede, perché la sua sostituzione con fonti alternative non sembra possibile in tempi brevi. Poi c’è tutto il tema del nostro essere un paese trasformatore, dunque dipendente non solo dalle materie prime, ma anche dal sistema dei trasporti e dalla necessità di avere sbocchi di mercato che si pensa si restringeranno perché tutti saranno interessati dalle conseguenze di quella che si va delineando come una “economia di guerra”: che tale dovrà essere per forza, perché già le sanzioni economiche verso la Russia sono di fatto azioni di guerra.
Ora diventa evidente che nello scontro in atto l’Italia sarà un obiettivo proprio per le sue debolezze. La dichiarazione aperta della Russia che ci iscrive nella lista dei “nemici” è diretta a provare di spaccare la nostra coesione interna. C’è già traccia di umori tanto nei gruppi dirigenti economici e finanziari quanto nelle pieghe di varie forze politiche secondo i quali umori sarebbe meglio che il nostro paese si tenesse fuori dal fronte dei “belligeranti” per quanto anomali così da evitare una crisi che non saremmo in grado di sopportare (e si dice che da quegli ambienti arrivino critiche a Draghi che secondo loro non capirebbe la delicatezza del momento politico …).
Ci si deve però chiedere se davvero l’Italia abbia la possibilità e vorremmo dire persino la convenienza a fare, ci si perdoni l’espressione, il pesce in barile. In uno scontro che si profila sempre più come una svolta storica che tende a superare definitivamente il quadro che, pur con tutte le sue lunghe e complicate mutazioni, abbiamo ereditato dal post-1945, fare parte per noi stessi ci condannerebbe semplicemente a non trovare sostegno né da una parte, né dall’altra dei contendenti.
Proprio perché siamo deboli e di conseguenza si ripercuoterebbero su di noi con durezza le difficoltà di questo quadro di altissime tensioni internazionali, per non dire di nuovo tipo di guerra globale, dobbiamo per forza di cose rimanere ancorati da un “sistema” alle cui risorse e solidarietà possiamo attingere. La storia e la geografia ci collocano in Europa e nel settore occidentale del mondo: immaginare di evadere da questo non ci pare sensato.
Certo dobbiamo starci con capacità ed onore, perché per prendere bisogna anche essere in grado di dare. Abbiamo dinnanzi tempi complicati, speriamo non troppo difficili (ma non si può escludere) e dunque è urgente risistemare il nostro quadro sociale, politico e culturale, lasciandoci alle spalle decenni di fughe nelle demagogie e negli utopismi. Sarà un’operazione tutt’altro che facile, suppone cuore e intelligenza da parte di tutto il paese, ma va avviata. Forse non partiamo in condizioni ottimali, ma forse, se vogliamo, abbiamo più risorse di quanto facciano pensare molte commedie a cui abbiamo dato spazio. Come spesso accade, nei momenti più difficili siamo capaci di mostrare più virtù di quante ce ne attribuiamo seguendo un certo nostro costume di autodenigrazione.