di Paolo Pagliaro
Quando in Europa diminuiscono salari e occupazione, in Italia diminuiscono di più; quando invece aumentano, in Italia aumentano meno. Così Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio, sintetizza i risultati di una ricerca presentata oggi da cui risulta che – nonostante un lieve incremento nell’ultimo anno – le retribuzioni italiane sono sempre più distanti da quelle francesi e tedesche. In Italia il salario medio è ora di 29 mila 400 euro, 10 mila 700 in meno rispetto alla Francia, 15 mila in meno rispetto alla Germania.
Una delle ragioni di questo divario, che con gli anni cresce, viene suggerita da una tabellina sulle caratteristiche degli occupati. In Francia i dirigenti sono il 5,6%, in Germania il 3,3, in Italia l’ 1,4. Abbiamo una percentuale bassa di professioni intellettuali e scientifiche, sono relativamente pochi i tecnici mentre primeggiamo nella classifica delle professioni non qualificate. Sono poi aumentati i part time, con il risultato che nell’ultima dichiarazione dei redditi oltre 5 milioni di lavoratori dipendenti hanno dichiarato meno di 10 mila euro lordi. Se nessuno scendesse sotto quella soglia il divario con il resto d’Europa si ridurrebbe molto.
Rachele Sessa ha scritto per Rubbettino un libro che si intitola “Perché le fabbriche fanno bene all’Italia”. La studiosa documenta in modo convincente i meriti della manifattura nella tenuta del sistema paese. Ma ciò non le impedisce di notare che l’età media del parco macchine installato nelle fabbriche è di 14 anni e 5 mesi. Nell’Italia delle medie, piccole e piccolissime imprese la digitalizzazione stenta dunque ad affermarsi, con evidenti ricadute sulle qualifiche e sui salari degli occupati